CAPITOLO 14

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Il battito di jimin pulsò selvaggiamente, mentre seguiva jungkook fuori. Non poteva credere di avere davvero acconsentito. Diavolo, non poteva credere di aver chiesto di vederlo, tanto per cominciare. Aveva rimuginato su quell’idea tutta la settimana. Era audace. Era pazzesco.
Avventuroso. Irrazionale. Anche quando aveva salito i gradini verso la casa di jungkook , quella sera, non era stato del tutto sicuro. Aveva deciso, intanto che fumava la sua sigaretta, che sarebbe andato a istinto, che il momento avrebbe dettato la sua decisione.

Si era anche quasi spaventato, l’aveva rimandato all’ultimo minuto, ma mentre stava lì in piedi vestito, si era reso conto che non avrebbe mai avuto un’altra possibilità. E quello era stato ciò che alla fine lo aveva spinto all’azione, indipendentemente dalle possibili conseguenze. Perché se non l’avesse fatto, sapeva che se ne sarebbe pentito per sempre e quella prospettiva sarebbe stata peggiore, molto più spaventosa di qualsiasi cosa jungkook potesse avere nel suo sotterraneo.

Così si era lanciato, sperando che jungkook dicesse di no, pregando per metà Dio che dicesse di sì, e quando l’aveva fatto, aveva provato un formicolio in tutto il corpo, quella curiosa corrente di anticipazione che si prova quando si affronta qualcosa di rischioso, non sapendo come sarebbe andata a finire, se si sarebbe pentito della sua decisione, o l’avrebbe etichettata come la scelta migliore che avesse mai fatto. Una cosa di cui aveva un forte sentore, era che non importava cosa jungkook gli avrebbe permesso di vedere, lui sarebbe risalito da quelle scale come un ragazzo cambiato. Era una cosa troppo drammatica da prevedere, sapeva che lo era, eppure non aveva dubbi. Sperò che fosse per il meglio e non per il peggio.

Arrivarono a un’altra porta più avanti, proprio davanti all’ingresso della cucina. Jungkook lo guardò da sopra la spalla. I suoi occhi verde scuro bruciavano.

Si fece forza. Non si tornava indietro.
E poi quella porta era aperta e loro erano diretti giù per una tromba di scale. Guardò la bella moquette beige e le pareti leggermente più scure, poi in alto verso i portalampada in bronzo lucidato. Buffo, si aspettava qualcosa di un po’ più gotico. Sorrise mentre ogni passo li portava sempre più in basso, sempre più vicini al dungeon di jungkook . Dio, quell’unica parola lo mandava in sovraccarico, gli faceva battere il cuore come fosse un drogato di adrenalina. Quel posto l’avrebbe spaventato a morte? Sarebbe stata una depravata camera di tortura medievale? O sarebbe venuto fuori che jungkook si era solo preso gioco di lui, ed era solo una normale stanza con dei giochi?

Raggiunsero il fondo e, all’istante, individuò un miscuglio di odori diversi. Lucido per mobili. Limone, che era il più intenso. Il successivo era molto più debole ma riconoscibile: sudore. Proveniva forse dalla palestra di yoongi ? Gli odori più tenui, tuttavia, erano cera di candele e pellame, che immaginò provenissero dalla tana di jungkook . Guardò le due porte davanti a sé. Jungkook si spostò verso quella a sinistra, e immaginò che lo spazio di yoongi fosse quello a destra.

Jungkook afferrò la maniglia, poi si fermò dopo averla abbassata solo per metà. Aveva cambiato idea? Stava avendo dei ripensamenti?
Jungkook lo guardò. Cazzo, quel fuoco nei suoi occhi. No, sicuramente non aveva cambiato idea. Merda, sembrava pronto a fare scintille.
Vide le sue labbra curvarsi ironicamente mentre riprendeva ad abbassare la maniglia. «Eccoci, bel ragazzo. Non dire che non ti avevo avvertito.» jungkook spalancò la porta e accese la luce, poi fece casualmente strada, come se stessero andando in cucina o qualcosa del genere. Nessun grosso problema. Solo una stanza piena di… «Oh, merda.» Spalancò gli occhi dalla sorpresa, così come la sua bocca.

Buon Dio, quel posto era surreale, e decisamente più intenso di quanto si aspettasse. Fermo appena oltre la porta, deglutì e si guardò intorno. Il posto sembrava una camera di tortura, cominciando dai
minacciosi aggeggi per finire con il pavimento di cemento grigio, ma, stranamente, aveva anche una strana aria di posto di classe. Non aveva senso, gli sembrò del tutto contraddittorio. Eppure, beh, eccola lì.

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