CAPITOLO 9

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              Undici Anni Dopo


«Va bene, gente. Come sapete, oggi abbiamo un modello per il vostro progetto di statua figurativa. Le sculture astratte dello scorso semestre sono state fantastiche, ma avete avuto un sacco di spazio di manovra per quanto riguardava i dettagli. Ora è il momento di affinare il vostro approccio. Flettere i vostri muscoli perfezionisti. Voglio che questo prossimo pezzo sia realistico fino all’estremo assoluto. Proporzioni azzeccate. Voglio che questo ragazzo appaia vivo, come se doveste aspettarvi di vederlo respirare o qualcosa del genere. E non solo a colpo d’occhio. A uno sguardo fisso.» Uno studente alla destra di jungkook emise uno sbuffo.

«Con i nostri occhi socchiusi, però, giusto?» «Sì,» rise un altro. «Strizzati con le luci spente.» Le labbra gli si incurvarono.

«Fate del vostro meglio e non abbiate fretta. Prendetevi il vostro tempo. Questo pezzo vi rappresenterà alla mostra d’arte.» Indicò un tavolo nel retro della classe.

«Adesso andate a prendere la vostra argilla e iniziate a preparare le cose. Il nostro modello sarà qui da un momento all’altro.» Tutti i sedici studenti si avvicinarono e raccolsero le loro scorte.
Grembiuli, strumenti per scolpire, staffe di supporto, diversi blocchi di argilla a base d’olio. Nel giro di pochi minuti, erano tornati ai loro posti, a impastare e rendere duttile la plastilina.
Osservò il centro della sua grande aula aperta, dove il loro modello si sarebbe presto appollaiato. Nulla di bello, solo una piattaforma leggermente sollevata con le postazioni degli studenti situate intorno a essa. Incrociò le braccia e si appoggiò alla scrivania, ricordando quando

andava in quella classe da studente. E poi si era diplomato, quasi otto anni prima, con la sua laurea in Belle Arti e in Didattica. Alla fine, aveva deciso di concentrarsi solo su quelli, rinunciando alle sue aspirazioni sulla lingua coreana. Era davvero troppo, quindi aveva tagliato il superfluo, promettendo a se stesso che avrebbe continuato a studiare da solo. Cosa che aveva fatto, per la gioia di sua madre. Sentiva ancora la mancanza di suo padre così tanto e amava quando jungkook le parlava in coreano.
Qualche anno dopo, e con sbalorditiva fortuna, era riuscito a ottenere una posizione come istruttore di livello base proprio nell’università in cui si era laureato. Certo, impartiva soltanto lezioni di formazione professionale, ma il prestigio non gli sarebbe comunque piaciuto. Inoltre, stava facendo qualcosa che gli piaceva davvero, lavorando ogni giorno con le mani. Amava creare, era stato così sin da quando era più giovane, quando intagliava piccoli animali con il suo coltellino.

Si accigliò, rendendosi conto che l’ultimo animale che avesse mai scolpito era quello che aveva fatto per Taehyung . Il falco che avrebbe dovuto dare speranza al suo ragazzo. Lo stesso che la madre di Taehyung gli aveva gettato contro la notte in cui era morto. Si chiese se fosse quello il motivo per cui si era tanto impegnato nella scultura. Era molto simile all’intaglio del legno, eppure non era la stessa cosa. Gli aveva dato lo stesso piacere e soddisfazione, ma senza tutti i promemoria dolorosi.
Non che fosse davvero importante.

Stava facendo quello per cui era andato all’università. Al diavolo, stava addirittura producendo pezzi su commissione di nascosto. Forse un giorno lo avrebbe fatto a tempo pieno.
Essere un autentico scultore professionista. Ma anche se non l’avesse fatto, anche quello andava bene. Gli piaceva insegnare ai ragazzini. I suoi studenti lo divertivano, e insegnare all’università all’età di trentun anni non era qualcosa di cui farsi beffe. Stava andando piuttosto bene. Nessun problema. Nessuna lamentela.
Dall’altra parte della stanza, la porta si spalancò, strappandolo alle sue riflessioni. Sembrava che il modello fosse finalmente arrivato. Lo guardò per un secondo, prima di andargli incontro. Bel ragazzo. Corpo tonico e magro. Non troppo grosso, ma nemmeno troppo sottile. Forse un metro e settanaquatro. Capelli biondo dorati in una crocchia maschile bassa e allentata. Jeans casual e una maglietta. A parte quello, solo un tipico universitario che indossava la tipica espressione di pacata indifferenza di quasi ogni studente. Una disposizione che apprezzava, probabilmente il motivo per cui gli piaceva così tanto la loro età.
Spingendosi via dalla scrivania, si diresse verso il ragazzo.

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