CAPITOLO 4

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«Hai un bell’aspetto, kook.» jungkook guardò fisso sua madre, mentre lo aiutava a sistemare la cravatta, non preoccupandosi di tentare di replicare. Era troppo stanco e quel groppo in gola stava solo aumentando di volume.
Sua madre sbirciò in alto verso di lui, interrompendo quello che stava facendo, i suoi occhi scuri colmi di lacrime.

«Sei sicuro di non volere che venga con te al funerale?» Annuì leggermente.

«Non ci starò a lungo, comunque. E al lavoro siete già a corto di personale. Oltretutto,» deglutì
«anche i Kim non vogliono che tu venga. Ricordi?» Lei alzò il mento con aria di sf i da, anche se tremava.

«Non m’importa.
Che si fottano. Anch’io amavo Taehyung . Era come un altro figlio, per me.
Era parte della famiglia.» Sussultò, alla menzione del suo nome.

Dio, quell’unica parola era come una lama per il suo cuore, amplificava il dolore che doveva ancora cessare sin da quando taehyung era morto tre sere prima. «Lo so,» gracchiò debolmente.

«E anche taehyung lo sapeva.» Sua madre lo guardò fisso negli occhi, i suoi lunghi capelli che le incorniciavano il viso come uno scuro salice piangente in lutto.
«Sì, ma, jungkook.» I suoi lineamenti si contrassero preoccupati.
«Non voglio che li affronti tutti da solo.» Lo stomaco gli si rivoltò. Oddio. Era esattamente quello che aveva detto a Taehyung la sera del confronto con i suoi genitori, cosa che in quel momento non fece altro che rafforzare la sua risolutezza. L’avrebbe fatto da solo. In onore di Taehyung . Avrebbe affrontato i genitori del ragazzo con nessuno accanto a sé, con nessuno a tenerlo a galla durante la tempesta.
Sarebbe affogato, oppure avrebbe nuotato, e non era che ciascuno dei due esiti importasse davvero.
Di nuovo, scosse la testa.
«Starò bene.» Sua madre non insistette, si limitò a fare un piccolo cenno d’assenso e finì di raddrizzargli la cravatta.

«Ecco.» Sorrise mesta, spazzolandogli la giacca del completo.
«Tutto pronto per andare.» Ma lui si limitò a rimanere fermo lì, fissando il nulla. Si sentiva così allo sbando.

Distrutto.
Sua madre sospirò piano e gli poggiò un palmo sulla guancia, attirando il suo sguardo giù verso il proprio.
«Così tanta tristezza, hai dovuto sopportare. Prima tuo padre, e ora…» Si fermò di colpo, come per riprendersi.
«Sei sicuro di non voler aspettare un anno? Cominciare l’università il prossimo autunno, invece di questo?» Un dolore fresco lo assalì, e sbatté le palpebre per schiarirsi la vista.
«No,» sussurrò.
«Non posso stare qui. Tutto mi ricorda…» Lui.
Jungkook arrivò alla chiesa evangelica dei kim un paio di minuti prima dell’inizio del funerale. Che era la cosa migliore. Se Fosse arrivato prima, avrebbe avuto troppo tempo per pensare.


Qualche tempo dopo e avrebbe rischiato di essere in ritardo e attirare l’attenzione. E l’attenzione era pessima, considerando che non era nemmeno il benvenuto. Quel messaggio vocale che i kim avevano lasciato sulla segreteria telefonica? Nient’altro che la minaccia di un’azione legale se jungkook e sua madre non fossero rimasti lontani. Quindi, sì. Evitare l’attenzione. A testa bassa per amore di Taehyung . Perché Dio lo sapeva, cazzo, se fosse stato per qualcun altro, jungkook avrebbe detto loro di baciare il suo culo gay.
Funzionando con il pilota automatico, si trascinò fuori dal pick-up.

Non poteva credere di essere al funerale di Taehyung. Una parte enorme di lui non l’aveva ancora accettato, come se il suo cervello si fosse chiuso, fosse in sciopero, rifiutandosi di riconoscere la realtà. Rifiutandosi di ammettere la verità. Rifiutandosi di aprire gli occhi. E a jungkook andava bene così, lo aiutava a funzionare. Più o meno. Un po’. Perché, anche se soffocava le sue emozioni quando era sveglio, doveva ancora tenere le redini su di esse mentre dormiva.

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