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                        Charles

Sento le orecchie ovattate e la troppa luce mi impossibilita ad aprire gli occhi, poi buio.
La luce torna ad affievolirsi e la troppa curiosità mi spinge ad aprire gli occhi e a cercare di capire cosa sta succedendo.
Sbatto due, tre, quattro volte le palpebre, non so dove mi trovo anche se è un luogo familiare, sono infatti sicuro di esserci già stato.
Davanti a me c'è una strada, dell'asfalto, dei cordoli, sono in un circuito.
Il cielo è grigio e ogni tanto sento qualche goccia d'acqua intrufolarsi tra i miei capelli; faccio per camminare ma un dolore acuto mi blocca.
Mi toglie il fiato.

Inizio a toccarmi l'addome, il dolore è forte ma devo fare qualcosa, non posso stare fermo qui.
Inizio ad incamminarmi cercando di capire dove mi trovo, ci sono alberi, tantissimi alberi intorno a me poi, sento una voce chiamarmi.
Conosco quella voce.
Mi volto ma non trovo nessuno.
Inizio a guardarmi intorno ma a quanto pare sono da solo.
Poi la risento, mi sta dicendo qualcosa ma non capisco cosa voglia comunicarmi, sembra disperata.
Continua a ripetere il mio nome con irruenza come se fosse un bisogno; eppure io continuo a non vedere nessuno.

Dopo poco torna il silenzio, adesso le uniche cose che sento sono i battiti del mio cuore e il ticchettio della pioggia.
Faccio qualche altro metro e poi la riconosco, conosco quella curva, so dove mi trovo.
Sono a Suzuka, in Giappone.

Sono in curva 12.
Mi blocco.
Rifiuto a me stesso di andare oltre, anzi credo che tornerò indietro.
Non so perché sono qui, non so nemmeno come ci sono arrivato; l'ultima cosa che ricordo è il viso di Miranda.

"Miranda?!"
Urlo.

Magari anche lei è qui, magari mi sta cercando.
Sforzo la mente, sforzo i ricordi e adesso è tutto più nitido.
Mi tocco l'addome nel punto in cui mi hanno sparato, ecco spiegato il dolore.
Ricordo le lacrime di Miranda, il sangue e il caos intorno a noi.
Poi tutto si è spento e io mi ritrovo qui, in questo circuito che mi ha tolto qualcosa, me lo ha portato via e io non so come andarmene.

Penso che dovrei tornare nella zona del paddock, magari incontrerò qualcuno.
Per farlo però dovrò passare per curva 15.
Odio quella curva.
Così con il viso basso inizio a camminare, mi guardo in torno ma non troppo.
Ho paura.
Sento il cuore in gola e le mani sudate.
Voglio solamente andarmene e tornare a casa.

Faccio dei metri, molti metri.
Credo di essere in curva 14, ma non ne sono sicuro.
Prendo forza e inizio a correre.
Voglio andarmene al più presto.
Mentre corro il vento mi scompiglia i capelli e questa volta mi guardo addosso.
Non ho gli stessi vestiti della mattina, ho indosso la mia polo Ferrari.
Mi fermo di nuovo e quando alzo lo sguardo, rivivo quel giorno.
Rivivo tutto.
Il cuore si ferma.
La pelle trema, ho i brividi.
Vedo il guardrail, lo riconosco ma non mi avvicino.
Come potrei?
Così mi accascio per terra e lo osservo.
Lo osservo per minuti interi, qualche lacrima esce ma non posso fermarla.

È quando mi rialzo che vedo un ragazzo, è di spalle eppure mi ricorda qualcuno.
Indosso ha una polo come la mia ma di un altro colore, è moro e credo sia alto come me.
Anche lui sta fermo ed osserva lo stesso punto in cui stavo guardando un attimo prima.
Poi un istante dopo il mondo mi crolla addosso.
Il cuore va veloce e inizio a sbattere freneticamente le palpebre con la paura costante che sia tutto un sogno.
Eppure, eppure è tutto così reale.
Lui si gira ed io, io scoppio a piangere come un bambino cercando di inalare quanto più ossigeno.
Corro verso di lui ma quando lo abbraccio, mi accorgo che in realtà sto toccando semplicemente dell'aria.
Mi ritraggo ancora più confuso, con gli occhi lucidi e le guance bagnate, lo chiamo.
Dopo 7 anni pronuncio il suo nome ad alta voce.

seventeen // charles leclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora