1 ~ Tutti puritani

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Faceva caldo, com'era ingiusto che facesse caldo a giugno, in piena estate.

Ingiusto, sì.
Perché allora, come oggi, odio l'estate.

Venivo fuori da una settimana di quarantena preventiva dopo che tutta la mia adorabile famiglia, a fine Pandemia, aveva pensato bene di provare il brivido del Covid, infettandosi in massa.
Tutti tranne me.

E mi pizzicava la mascherina da morire, non ero neppure più abituato a portarla dopo le Porte Aperte con cui ci aveva graziato lo Stato. E faceva caldo. Sudavo pure stando dietro al bancone del bar, con il condizionatore puntato addosso. La macchina del caffè che mi ribolliva alle spalle come un vulcano in eruzione. Le palme delle mani sudate e la dannata dermatite che era già tornata, a ricordarmi – come ogni anno – che il mio odio per l'estate non era solo una cosa psicologica, ma fisica. Come una specie di allergia al sole e alle temperature troppo elevate.

Ridicolo. Nativo di una città come Palermo dove il caldo la faceva da padrone almeno nove mesi all'anno.

Alberto sedeva su uno degli sgabelli superstiti che stavano all'esterno del locale, non abbastanza lontano da me, che lo sentivo blaterare sugli stessi argomenti osceni come ogni mattina in cui mi beccava di turno. Quel giorno, però, tra una battuta sessualmente volgare e l'altra, l'argomento che più premeva – non solo a lui, ma anche agli, ancora pochi, presenti – era un altro.

Il furto dei tavolini.

-Come cazzo hanno fatto a portarseli via?-

Alzai gli occhi al cielo. Valeria, davanti a me, oltre il bancone, che già aveva sentito l'emozionante resoconto della vicenda, mi rivolse un sorriso complice. Poi alzò una mano in segno di saluto, salutò pure Fausto e andò via. Alberto, tuttavia, restava – dato che il Salone di bellezza era ancora chiuso – e aveva un'età ormai, cinquant'anni portati malissimo, che, a quanto pareva, gli aveva regalato pure un principio di demenza senile precoce.

-E gli sgabelli com'è che non se li sono portati?-

Un'altra sveglia come un orologio rotto, e mi girai a cercare lo sguardo di Giovanna, aprendo le braccia con espressione rassegnata. Di nuovo?! Ve lo abbiamo raccontato dieci minuti fa!

Fausto scosse la testa. Le sette e trentanove del mattino e avevamo ripetuto le stesse parole già un numero inverosimile di volte. -Gli sgabelli li entriamo, la sera. I tavoli erano pesanti, vecchi, e li lasciavamo fuori. Li entravo solo la domenica, che facciamo la mezza, così non stavano troppo a lungo fuori. Ma lo avevo detto a Claudio che era questione di giorni. Ché con il bel tempo se li sarebbero portati via-

-Ti hanno fatto un favore- disse Alberto.

Fausto si strinse nelle spalle. -Me li sarei voluti portare in campagna, ma va beh-

Mi ero già seccato di fare da palo al bar ed essere tagliato fuori dalla discussione senza poter dire la mia. Mi sentivo escluso e non mi piaceva essere escluso pure mentre stavo in mezzo alla gente. Afferrai una sigaretta dal pacchetto nascosto vicino ai piattini e scesi dal bancone, fermandomi sulla soglia del bar.

Tolsi la mascherina, accesi la sigaretta, aspirai un po' di fumo, espirai. -Ma anche se li rivendono al Mercato delle Pulci che ci possono ricavare? Cinque euro a tavolino? E sono pure assai-

Fausto si irrigidì. -Erano bei tavolini...-

-Tutti arrugginiti dalla pioggia-

-Vero, ma indistruttibili. Sicuro se li porteranno in campagna-

Questo lo volevi fare tu. Scossi la testa.
Stavamo parlando di tavolini.
Tavolini arrugginiti.
Vecchi di anni, scoloriti.
Pareva stessimo tutti lì in cerchio a farci la veglia funebre.
Poveri tavolini.
RIP tavolini.

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