18 ~ Capriole gioiose

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Eravamo tornati in spiaggia correndo come due bambini, imprecando, mentre rischiavamo di scottarci le piante dei piedi con la sabbia bollente.

-Portarsi le scarpe in riva no, eh?- domandò Vale, vedendoci arrivare sotto il cerchio protettivo dell'ombrellone.

Si abbassò gli occhiali sulla radice del naso, fissandomi con un certo sarcasmo.

-Sono cose a cui non penso, non sono abituato a venire al mare-

-Perché no?- chiese subito Stefano e trasalii.

-Ma tu sei ancora qua?- domandai di rimando, con stizza, svincolando dalla sua curiosità.

-Ovvio- ribatté lui, con tono compiaciuto, e prese subito possesso della mia sdraio, lasciandomi in piedi, indeciso se buttarlo giù con la forza oppure ritagliarmi un pezzetto di spazio accanto a lui.

Nell'indecisione, sedetti con Vale, sotto lo sguardo attento di Ettore, che continuava a far finta di leggere – neanche con troppo impegno – il libro di Banana Yoshimoto che aveva portato con sé – probabilmente da Bologna.

Vale mi diede una gomitata e fece roteare gli occhi, prima di spingere di nuovo gli occhiali da sole al loro posto.
Sbuffai, mi alzai, e infine sedetti su quella che era stata la mia sdraio, incastrandomi a ridosso di un fianco di Stefano.

Non mi piaceva tutto quel contatto fisico, mi metteva a disagio. Non avevo con lui tutta questa confidenza – non l'avevo neanche con Romina e Fausto! E li conoscevo da quasi un anno ormai.

Subito lui iniziò ad accarezzarmi pigramente un braccio e la pelle tornò a ricoprirsi di brividi.

Quanto io sapevo di essere refrattario al contatto fisico, tanto più Stefano ne sembrava dipendente.

Non avevo mai conosciuto nessuno capace di entrare così in confidenza con qualcuno dopo neanche due mesi di frequentazione. "Frequentazione" nel senso più ampio del termine, dato che non avevo ancora la più pallida idea di in quale categoria poter collocare Stefano.

Per lui sembrava facile toccare, farsi toccare. Possedeva una naturalità che a me risultava del tutto estranea e fuori luogo. Mi sentivo fuori luogo persino quando picchiettavo una spalla di Fausto per richiamare la sua attenzione. Mi sentivo strano quando abbracciavo Romina – ed era capitato forse tre volte in quasi un anno. Mi sentivo strano, a volte, persino quando abbracciavo mio padre, i miei fratelli, mia madre. Mi piacevano gli abbracci, ma vivevo quegli istanti con un'ansia inspiegabile, un disagio incontrollabile, e contavo sempre i secondi per paura di far durare l'abbraccio troppo poco, con il rischio di offendere l'altro, mentre dentro di me speravo si esaurisse il prima possibile. Non avevo idea del perché fossi così allergico al contatto fisico, dato che, ogni tanto, ne percepivo pure il bisogno, ma restavo in balia di emozioni così distanti tra di loro, in quei momenti, da finire per reprimere il desiderio prima che si tramutasse in azione.

Forse, in modo molto semplicistico, non ero abituato agli abbracci.

Ero strano.
E lo sapevo.

Mi piacevano molto gli abbracci di mia madre, li cercavo spesso, in verità, ma restavo strano: non volevo mai che durassero troppo neppure quelli con lei – che poi erano quelli che cercavo io.

Le carezze di Stefano cessarono all'improvviso e con loro i miei pensieri. Fissai la sua mano poggiata su una mia coscia, immobile, ma viva e pulsante. A separarci era rimasto solo il tessuto plasticoso del mio costume da bagno.
Deglutii.

Vale si alzò all'improvviso dalla propria sdraio, facendomi sussultare. -Andiamo, Hector! È ora del bagno!-

-Ma, bimba, stavo leggendo...-

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