Il tempo passava, i passi si susseguivano in silenzio, sotto il picco del sole al tramonto. Ormai eravamo vicini al luogo in cui vivevo e, sinceramente, non mi andava più di fargli scoprire dove abitavo. Era una cosa che fino a quell'istante non avevo contemplato nella sua interezza, ma il suo essere così restio nel rispondermi mi aveva appena ricordato che stavo dando troppo di me a qualcuno che, forse, non era intenzionato a fare altrettanto.
O forse mi stavo costruendo l'ennesimo film idiota e privo di logica.
Nell'indecisione, mi bloccai davanti una delle fermate dell'autobus che beccammo, approfittando della presenza di una panchina, e sedetti, fissando lo sguardo dinanzi a me. A braccia conserte, ciondolando un piede con un certo nervosismo.
Stefano tornò sui suoi passi, sedette accanto a me, e mi passò di nuovo un braccio intorno alle spalle.
-Sono sudato- sbottai e tentai di togliere il suo braccio da dietro il mio collo.
-Anch'io. È naturale-
Misi il broncio e non ribattei.
Restammo seduti per un po', in silenzio. Un autobus passò, accostò, scesero dei passeggeri. Un paio di loro li conoscevo di vista, gente che viveva nel mio stesso quartiere. Mi rivolsero degli sguardi intensi, sguardi invasivi di gente che ti conosce di vista, ma che non ha sufficiente confidenza da poterti neppure rivolgere un ciao. Ricambiai gli sguardi con fermezza: ero abituato a metterli a tacere, a spingerli a puntare verso il basso, lontano da me. Erano più di venticinque anni che vivevo in quel quartiere ed ero sempre me, e mai nessuno si era azzardato a dire mezza parola sul mio conto, proprio perché avevo imparato a "rispondere" prima ancora che le parole lasciassero le bocche altrui.In parole povere, avevo una faccia antipatica, suppongo, da attacca brighe, e la gente tendeva a lasciarmi in pace – almeno nel mio quartiere.
Stefano strinse di più il braccio intorno alle mie spalle e il mio imbarazzo crebbe a dismisura, nonostante quello che aveva detto poco prima.
Era più forte di me: limiti, paranoie, stronzate mentali. Ero io, ero fatto così e di certo non sarei potuto cambiare di colpo solo perché Stefano aveva detto che non ero brutto, che sudare era normale.Mi accarezzò una spalla, scese verso il basso, finché riuscì a sfiorarmi la pelle nuda del braccio con un pollice. Mi vennero i brividi: tensione e piacere si mescolarono in un cocktail confuso.
Mi sentivo confuso. Non ero pronto per tutto quel contatto fisico, e il fatto che ne traessi piacere mi preoccupava ancora di più.
Avrei dovuto dare un freno alle mie stesse illusioni.
-Non ho un buon rapporto con i miei. Diciamo così- disse Stefano, spezzando il silenzio tra di noi. -Tornavo a casa perché all'inizio mi sentivo obbligato a farlo. Stupidi convenevoli, credo. Poi ho capito che tornare non mi faceva stare bene. Tornare da loro, intendo. Non avevo un posto solo mio qui e quindi ho smesso di tornare a Palermo perché non avevo più una casa a Palermo-
-Per questo stai in albergo-
Annuì. -Sì, perché continuo a non avere una casa mia a Palermo e non mi interessa averla, visto il lavoro che faccio-
Il lavoro che faccio. Il lavoro che, con tutta probabilità, lo avrebbe portato via da Palermo nel giro di mesi, se non addirittura giorni. E poi, lo avrei rivisto? Sarebbe tornato? Erano tutte domande prive di risposta, ma c'era un'altra domanda che, compresi in quell'istante, esigeva delle risposte, prima di tutte le altre.
E se non fosse più tornato, se fosse sparito all'improvviso... quanto ci sarei rimasto male?
Certo, mi aveva solo passato un braccio intorno alle spalle, accarezzato distrattamente una microporzione di pelle. Ma io non baciavo un uomo da più di... boh. Anni. Almeno quattro. Sì, se non di più. Non ero più abituato a contatti fisici di quel tipo – non lo ero mai stato. Avevo avuto diverse relazioni, ma tutte non erano mai andate oltre i baci, di conseguenza, era un po' come se Stefano si fosse già spinto oltre la Terza base – per dirla all'americana – della mia personalissima concezione dell'intimità tra due persone.
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CI SONO ANCH'IO
RomanceClaudio lavora in un bar e vive questo suo lavoro come se, ogni giorno, si trovasse incastrato all'interno di una sitcom. Sempre a contatto con gente strana - normale, ma strana forte. Alle prese con le avventure che la vita di tutti i giorni rise...