35 ~ Così giusto

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Così, per citare Monica, un altro giorno era arrivato. Monica: la mia Infermiera Gentile aveva un nome e lo avevo scoperto solo quel giorno, il più bel giorno che mi si prospettava da vivere da lì fino indietro nel tempo almeno di quattro, cinque anni.

Dopotutto, tolte le settimane di "prigionia" in ospedale, dopo il mio risveglio, gli ultimi anni che avevo trascorso non erano stati decisamente rosei.

Sì, ero riuscito a trasformare la mia più grande passione in un lavoro, ma la depressione mi aveva trascinato in basso, all'interno di un limbo senza luce.

Nel mio presente, tuttavia, ero un uomo in fase di cura, di rinascita, di ricostruzione.

In uscita dall'ospedale.

Finalmente!

Ovviamente, avrei dovuto continuare a presentarmi lì a giorni alterni, per portare avanti i miei incontri con la psichiatra e lo psicologo. Con il dottor Raisi avevamo già affrontato buona parte dei miei incubi emotivi, gli stessi che, durante il mio... sogno avevo già discusso con Claudio. Restavano ancora tanti nodi da sciogliere, ma mi sentivo pronto per farlo. Un passo per volta.

Chiusi la zip del borsone e qualcuno richiamò la mia attenzione, bussando alla porta della stanza. L'avevo lasciata aperta e sulla soglia trovai un uomo. Alto poco più di me, i capelli castani, come i miei, ma più pieni dei miei di ciocche grigie e bianche. Aveva i miei stessi occhi scuri, il mio stesso naso. Le labbra le avevo ereditate da mamma.

Sospirai, gli rivolsi il breve cenno di una mano in segno di saluto, e tornai a dargli le spalle, raccogliendo le ultime cose che mi appartenevano e che erano ancora sparse per la stanza.

-Come va?- chiese mio padre, entrando in camera, facendosi vicino a me, e mi diede una pacca su una spalla.

Sussultai e mi voltai a guardarlo per la frazione di un secondo, poi fuggii di nuovo dal suo sguardo.

Avevo saputo da mia madre che, durante il mio periodo di coma, lei non si era risparmiata nulla. Aveva rischiato di divorziare dal marito dopo averlo accusato di essere stato un padre assente e troppo severo, aveva litigato con gli altri figli, con le nuore, i nipotini, distribuendo colpe un po' per tutti – compresa se stessa –, svelando anche segreti di me che avevo condiviso solo con lei. Aveva fatto coming out per me, aveva distribuito ipotesi e sentenze.

L'unico a cui aveva risparmiato la sua furia era, forse, pure l'unico colpevole di tutta quella storia: io.

Scossi la testa. -Non lo so. Dimmelo tu- risposi e mio padre ritrasse la mano.

Curvò le spalle in avanti e nascose entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni. -Sei vivo-

-Wow, che acume-

-Tu sei Stefano-

-Wow, che acume-

Mi passai una mano tra i capelli, come a voler scacciare il ricordo che aveva appena fatto irruzione tra i miei pensieri.

Il ricordo. Il ricordo di un sogno che aveva saputo di vita vera e che ancora mi perseguitava.

Mio padre tacque. Forse la mia ironia lo aveva ferito.

Sospirai. -Come va con la mamma? Visto che mi ospiterete per le prossime settimane, vorrei sapere se la cosa può risultare un problema per il vostro rapporto...-

-Il nostro rapporto non è più in crisi- mi interruppe. -Se ti stai riferendo a questo-

Annuii. -Avete fatto pace?-

-Non abbiamo mai litigato per davvero. Ci siamo scaricati addosso tutte le colpe che avevamo- scrollò le spalle. -Ma ci ha aiutato a tirare fuori tutto quello che sentivamo di aver sbagliato-

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