V.

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Jonathan Heinrich aveva sempre saputo che sarebbe morto giovane.
Non da piccolo, ovviamente.
Il giovane Jonathan non aveva mai avuto motivo di meditare sulla propria fine.

I suoi primi anni erano stati perfetti per un bambino, a partire dal giorno in cui era venuto alla luce.

Jonathan era l'erede di un viscontado antico e ricco, ma, a differenza della maggior parte delle altre coppie aristocratiche, Lord e Lady Heinrich erano innamoratissimi e avevano considerato l'arrivo del figlio come quello di un bambino, non di un erede.
Perciò non c'erano state feste o altre celebrazioni se non quella di una madre e un padre che gioivano per la nascita di loro figlio.

Erano genitori giovanissimi, Vincent aveva appena vent'anni e Margaret diciotto, ma erano molto assennati e forti e amavano il figlio con una devozione rara nel loro ambiente. Con grande orrore di sua madre, Margaret aveva insistito per allattare il figlio, e il marito non aveva accettato l'atteggiamento dei padri che non volevano né vedere né sentire i propri piccoli.

Portava con sé il neonato con lunghe passeggiate nei campi, parlandogli di filosofia e poesia prima ancora che il piccolo potesse capire le parole, raccontandogli una favola tutte le sere.

I visconti erano così giovani e innamorati che non fu una sorpresa quando, appena due anni dopo la nascita di Jonathan, seguì la nascita di un fratellino, battezzato Edward. Vincent riorganizzò subito le abitudini giornaliere in modo da portare con sé i due figli e studiò un piano speciale mentre portava Jonathan sulla schiena e reggeva Edward in braccio.

Attraversavano prati e torrenti e lui raccontava loro storie meravigliose di cavalieri dall'armatura scintillante e damigelle in pericolo. Margaret rideva quando rientravano e Vincent diceva: <
«Visto? Ecco la nostra damigella in pericolo. Dobbiamo assolutamente salvarla.»

Jonathan si lanciava fra le braccia della madre ridendo mentre giurava di proteggerla dal drago che avevano visto appena due miglia prima del villaggio.

«Due miglia prima del villaggio?» ansimava Margaret fingendosi inorridita. «Santo cielo, come farei senza tre forti uomini a proteggermi?»

«Edward è un bambino», replicava Jonathan.

«Ma crescerà», rispondeva sempre lei, scompigliandogli i capelli, «proprio come te.»

Vincent aveva sempre trattato i figli con uguale affetto, ma di notte, quando Jonathan stringeva al petto l'orologio da tasca (datogli per il suo ottavo compleanno dal padre, a sua volta ricevuto proprio alla stessa età) gli piaceva pensare che il suo rapporto con il padre fosse un po' speciale, semplicemente perché lo conosceva da più tempo.

Jonathan amava sua madre ma, con il passare del tempo, tutto quello che faceva, ogni successo, ogni scopo, speranza o sogno era dedicato al padre.

Quando Jonathan, ai suoi diciotto anni, aveva scoperto l'accaduto era pomeriggio inoltrato. Stava tornando da una cavalcata con Edward, quando al rientro in casa, aveva visto la sorella di dieci anni seduta sul pavimento. Jonathan si era immobilizzato alla vista di Mary.

«Mary, che...» prima che potesse terminare la domanda, Mary aveva alzato la testa e l'espressione addolorata nei suoi occhi era stata come una pugnalata per lui.

«È morto», aveva sussurrato Mary, «papà è morto. È stata...»

«È stata cosa... Mary?».

«Un'ape, è stata una puntura di un'ape.»

«Non si muore per una puntura di un'ape, Mary. È stato punto altre volte. Siamo stati punti entrambi. Abbiamo urtato un nido. Io sono stato punto sulla spalla e lui sul braccio.»

Mary non faceva altro che fissarlo con espressione vacua.

«Stava bene», aveva insistito Jonathan. Si accorgeva di parlare con voce terrorizzata, spaventando la sorella ma non riusciva a controllarsi. «Non si può morire per una puntura di un'ape!»

Mary scosse la testa: «Era lì, in piedi e subito dopo era...»

Jonathan aveva sentito qualcosa di stranissimo crescergli dentro: «Era cosa, Mary?».

«Andato.»

Quando Jonathan aveva raggiunto il piano superiore, aveva compreso dall'assoluto silenzio dei servitori presenti che la situazione era grave.

Appena entrato nella camera da letto, aveva capito.

Sua madre era seduta sul bordo del letto, senza piangere, senza emettere suono, teneva solo la mano del marito dondolando lentamente avanti e indietro.
Suo padre era immobile. Immobile come un...
Jonathan non riusciva nemmeno a pensare a quella parola.

«Mamma?» Aveva detto con voce strozzata. Non la chiamava così da anni, da quando era partito per Oxford, lei era diventata “Madre”.

Margaret si era voltata, lentamente.
«Non so», aveva detto guardandolo come se volesse aggiungere altro, ma avesse dimenticato qualcosa. «È andato.»

I dottori avevano continuato a ripetere che la situazione era assurda e imprevedibile, tanto che Jonathan avrebbe voluto strozzarli.

Era riuscito alla fine a sbatterli fuori casa e a mandare a riposare sua madre, portandola in camera per gli ospiti: non sarebbe mai riuscita a dormire nel letto che aveva condiviso con il marito per vent'anni.

Jonathan era riuscito anche a spedire nelle loro stanze i fratelli, dicendo loro che avrebbero parlato il giorno dopo, che tutto sarebbe andato bene e che lui si sarebbe occupato di loro come il padre avrebbe desiderato.

Era andato quindi nella camera in cui giaceva il padre e lo aveva guardato, per ore.

Quando aveva lasciato il locale aveva una nuova visione riguardo alla propria morte.

Vincent Heinrich si era spento a trentotto anni e Jonathan non riusciva a immaginare di poter superare il padre in alcun modo,
nemmeno per quando riguardava l'età.

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