VI.

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A spezzare quel ricordo fu il rientro in casa degli altri. «Avete già fatto ritorno?», domandò Jonathan.

«“Già”? Ci siamo assentati per ben tre ore, fratello», ribattè Edward.

Il più piccolo si avvicinò al volto del maggiore, socchiuse gli occhi per arrabattarsi a scrutare nella maniera maggiormente possibile: «Perché hai pianto?», chiese scaltro.

«Non... non ho pianto», disse discolpandosi.

«Hai gli occhi lucidi», fece notare Thomas.

Mary, percependo Jonathan incomodo e, in senso lato, impedito nel rispondere, interferì a favore del fratello: «Credo sia ora di andare a dormire», disse.

La madre annuì: «Lord Edevane, salite al piano di sopra, vi mostro la camera degli ospiti.» Frederick la seguì e, successivamente, come lui fecero Edward, Mary e Thomas.

Anche la duchessa stava per adempiere allo stesso operato, tuttavia si impuntò al primo scalino, girando leggermente il capo verso il visconte: «Voi non andate a dormire, My Lord?», chiese.

«Vi va di parlare?»

«Di cosa?»

«Di tutto», asserì.

«Siete molto vago, visconte.»

Jonathan descrisse nella maniera più vantaggiosa il suo pensiero: «Vorrei sapere cosa vi piace fare nel tempo libero, se vi piace leggere, se suonate uno strumento, quante lingue conoscete, il vostro colore preferito...»

Ma lei troncò il discorso: «Sono molto stanca...», affermò con spossatezza.

«Perdonatemi, non avevo inteso.»

«Voi non siete stanco?».

Le fece captare di no scrollando la testa: «Dormite pure nel mio letto», concluse.

L'indomani, a conversare fuori nello sconfinato giardino vi erano il visconte, la duchessa e il duca.
Jonathan stava lì, con le braccia conserte, ad osservare gli altri due discorrere. Erano talmente presi dal discorso che, molto probabilmente, non capacitavano neanche della sua presenza.

Il duca si atteggiava da vero galantuomo nei confronti di Esmeralda. E lei, come sempre, “infiammava”.

«Non trovate stupenda questa giornata?», domandò Frederick alla duchessa, che non potè fare altro che concordare: «La trovo incantevole.»

Il visconte guardò lei dritto in faccia: «Avrei tanto voluto pensare questo quando vi vidi per la prima volta.» Questo fece ribollire di rabbia Esmeralda che, dopo averlo squadrato dalla testa ai piedi, girò i tacchi facendo per andarsene il più lontano possibile da lui.

«Lady Duval...», la cercò di intrattenere Frederick.

«Andate a comprarvi un gelato, questa è una questione fra me e mia mo... la duchessa», disse facendo tacere Lord Edevane. «Miss. Duval... stavo semplicemente scherzando, non volevo offendervi!», urlò, nella speranza che lei, ormai già lontana, potesse sentirlo.

Jonathan corse per raggiungerla e, non appena la distanza che li separava fu pari al suono del respiro che l'uno poteva sentire dell'altra, la duchessa sviò di qualche centimetro: «L'unico sentimento di cui voi siete davvero capace è il malcontento», affermò.

Il visconte era prossimo a ribattere, finché non vide un'ape girare attorno a lei: «Non muovetevi!», esclamò.

Esmeralda non aveva capito che il motivo della frase declamata da Jonathan era tutt'altro: «Non ditemi cosa devo fare!».

«Ferma, maledizione!».

È in quell'esatto momento che la duchessa si rese conto dell'insetto: «È solo un'ape... Ah!», emise un gemito due millesimi di secondo più tardi, poiché fu punta dalla stessa.

«State male?», chiese preoccupato.

«Cosa?», lo guardò con aria interrogativa.

«Potete respirare?».

«Certo! È solo una puntura!».

Jonathan iniziò ad agitarsi: «No, ti prego...»

«My Lord...», notò che il visconte era sempre più inquieto, «My Lord...», vide i suoi occhi diventare progressivamente più lucidi, «My Lord...», Esmeralda portò la mano di Jonathan sul proprio petto, lì dove l'ape l'aveva punta, «Era soltanto un'ape», continuò, «Solo un'ape». Spezzarono quei miseri centimetri che li tenevano lontani. Jonathan si rasserenò: il fiato che tendeva a diventare sempre più corto, riacquistò il normale equilibrio. A quel punto le loro labbra si sfioravano e i nasi si toccavano, finché lei non si scostò bruscamente.

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