XVI. - The Never Exact

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Edward frequentava un'Accademia d'arte. Per essere ammessi, bisognava avere talento nel dipingere, e lui credeva di possederlo. Ogni martedì pomeriggio era solito a dirigersi lì.

«Heinrich, dovreste metterci un po' più d'impegno», lo incoraggiava il proprietario dell'Accademia, Karl.

Edward annuì, scrutò meglio il soggetto e riposizionò il pennello sulla tela.

«D'altronde, se non fosse per vostro fratello, è probabile che non vi avremmo neanche preso in considerazione», continuò sempre quell'uomo.

Il ragazzo smise di dipingere, mettendosi in posizione eretta dinanzi Karl: «Cosa intendete?», domandò perplesso.

«Lo sapete, il visconte ha pagato per farvi ammettere qui. Le vostre opere non le abbiamo neppure viste».

Invece, Edward, non ne era al corrente. Credeva lo avessero scelto per il talento che possedeva nel dipingere. Lasciò il locale, tornando a casa.

Jonathan vide il fratello rientrare e gli si avvicinò per parlargli, forse per chiedergli come fosse andata. Ma, prima che potesse farlo, Edward lo anticipò: «Ho deciso di lasciare l'Accademia», parlò deciso.

Il visconte lo guardò interrogativamente: «Cosa?», chiese stupito, «Perché?», proseguì.

«So della donazione, fratello», ammise schiettamente, «Cercavi di aiutarmi nel tuo modo sbagliato, perché intuivi la verità, ovvero che non sono bravo».

«Smettila, sembri me», lo rimproverò l'altro, «Se vuoi dipingere, dipingi. È uno dei tuoi tanti talenti, insieme al tuo dono naturale di capire di cosa necessitano gli altri. Un dono che ho scoperto tardi, ma se ho trovato la mia strada è solo grazie a te».

Lui non face captare alcuna emozione: «Buon proseguimento di serata», terminò col dire, per poi lasciare Jonathan e dirigersi nella propria stanza.

Subito dopo, si sentì bussare alla porta: «Rose...», chiamò lui il nome di Miss. Forrest.

«Ciao, Jonathan... Edward?».

«È di sopra», la informò.

«Grazie», gli sorrise, per poi raggiungere il ragazzo.

Dal lato opposto di Londra, Esmeralda sembrava decisa.

«Ne siete sicura? Partirete per l'India?», le chiedeva Diana, in parte preoccupata per il viaggio che spettava all'amica e in parte perché sapeva che quella fosse una decisione sbagliata.

«Sì, ho deciso. Non ho più niente da perdere, in questa città», parlava, mettendo in un bagaglio alcuni abiti che le erano stati regalati da Diana, dato che, quando andò via di casa, non portò nulla con sé.

«Mi sembra affrettata come decisione, e poi Lord Heinrich...»

«Jonathan? Non si starà neanche chiedendo di me, conoscendolo, se ci tenesse veramente, sarebbe venuto a cercarmi.»

«"Jonathan", vi ha dato il consenso di chiamarlo per nome?»

«No...», scosse la testa, «Questo è irrilevante, adesso. Ciò che voglio veramente è tornare in India».

«Eppure sembrate così innamorata...»

«Dell'India?».

«Di Jonathan».

«Siete matta?», disse inorridita, «Come potrei amare una simile persona?».

«A questo potete rispondere solamente voi», le accarezzò la spalla per confortarla, «Non fate altro che parlare di lui», sorrise.

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