Era pomeriggio, in sala c'erano tutti: Jonathan seduto sul divano a leggere un libro; Esmeralda, seduta a un tavolo con Thomas, stava aiutando quest'ultimo con gli esercizi di matematica; Margaret filava la lana; Mary, sul divano difronte a Jonathan, insieme a Rose. Mancava solamente una persona...
«Mary, suvvia, non essere scortese, va' a prendermi da bere», ecco chi mancava, Edward.
La sorella ribattè: «Mamma ti ha fatto le gambe, perché non ci vai tu?».
«Sei tu la donna». Queste erano le tipologie di frasi che facevano ribollire Mary di sdegno, ma decise, stavolta, di mantenere la calma: «D'accordo, fratello, vado a prenderti da bere. Cosa gradisci?».
«Del vino, grazie», disse lui.
«Mary, a me puoi portare del whisky?», replicò anche Jonathan.
A rispondere fu Rose: «Te lo porto io, Jonathan, d'altronde ci conosciamo da cinque anni, credo sia ora di fare il grande passo».
«Il grande passo sarebbe portarmi da bere?», chiese, confuso, il visconte.
Mary intervenne per salvare Rose dall'inconveniente da lei stessa creato: «Sono già in piedi, faccio io». Poi si voltò verso Jonathan: «Certo, fratello mio, andrò a riempire un bicchiere di whisky», parlò cautamente.
Prese le bevande desiderate dai fratelli, avvicinandosi, poi, a loro: «Ecco il vino, Edward». Lui allungò la mano al bicchiere, ma prima che potesse afferrarlo, Mary glielo rovesciò addosso. «Ma cosa ti prende?», le gridò contro, Edward.
Jonathan scoppio a ridere, pareva stesse piangendo, poiché asciugava con l'indice le lacrime che scendevano, provocate dalla risata: «Ora avrai un buon motivo per lavarti, fratello».
«Cosa vuoi insinuare?», strillò Edward, mentre spargeva un fazzoletto nei punti del viso su cui il vino era caduto.
«Oh, quasi dimenticavo, il whisky», pronunciò Mary, avanzando verso Jonathan. La stessa azione fece con quest'ultimo: «Non si deridono i propri fratelli», lo rimproverò.
Il visconte smise improvvisamente di ridere: «Prova a rifare una cosa del genere e ti tatuo il ritratto di Monna Lisa sulla schiena, a cinghiate, però, hai capito?», alzò la voce.
La sorella disse con sarcasmo: «Chiedo venia, sono solamente una donna. Essendo poco istruita, non ho ben chiaro il concetto di "gravità", devo aver calcolato male un paio di cose», il volto lo mantenne serio, finché non si accorse di come erano conciati i fratelli, ergo non riuscì a trattenersi dalle risate.
«Mary, devo parlarti», disse Edward, dirigendosi con la sorella in corridoio. Una volta lì, comunicò sottovoce. «Credi che... credi che abbia qualche possibilità con Rose?».
La ragazza incrociò le braccia, inarcò un sopracciglio e scrutò il fratello dalla testa ai piedi: «No», rispose schiettamente.
«Perché no?».
«Piuttosto che perdere tempo con me, va' a chiedere direttamente a lei».
Divenne notte.
La notte, solitamente, può essere considerata come un momento di intimità fra due persone, ma non per i protagonisti di questa storia. Lady Duval dormì la prima notte sul pavimento, la prima settimana sul divano al piano di sotto, da lì in poi dormì nel letto del visconte, ma, ovviamente, senza di lui. Dopo quelle rare volte in cui dava la buonanotte ad Esmeralda, era lui a recarsi nella sala, di sotto. Dico "rare volte" perché spesso rientrava di notte fonda in casa, e nessuno sapeva il motivo, nessuno a parte Edward.«Allora, buonanotte, Miss. Duval», sembrava timido, quasi un'altra persona.
«Perché non restate?», chiese lei.
«Perdonatemi, cosa volete intendere?».
«Tempo fa avevate chiesto di conoscermi meglio, volete fermarvi qui a parlare? E poi, dormire sul divano è abbastanza scomodo, l'ho provato io stessa per una settimana, non oso immaginare come vi sentiate voi dopo tre mesi».
Jonathan le sorrise: «Sì... sta iniziando a diventare al quanto disagevole», affermò.
La duchessa lo incitò a sedersi vicino a lei. «Dunque...», si fermò a pensare, «Cosa vi piacerebbe sapere di me?».
«Ho letto che si può capire tanto di una persona dalla musica che ascolta». Probabilmente non lo aveva neanche letto, lo inventò sul momento.
«Allora... conoscete Carl Philipp Emanuel? Lo ritengo un compositore eccellente».
«Sul serio? Credevo foste più malinconica».
«E cosa dovrebbe ascoltare una persona malinconica?».
«Non saprei... Franz Joseph Haydn, forse».
Lei si mise a ridere: «Non mi conoscete abbastanza, visconte. Voi cosa ascoltate?».
«Telemann», rispose.
«Che romantico...», ironizzò Esmeralda in questa parte della frase, «Anche mia madre lo ascolta», guardò in basso, mostrando l'esatto opposto dell'espressione divertita di prima.
«Vi manca?», domandò, sperando di non aver toccato un punto dolente.
«Non faccio altro che pensare a lei».
Il visconte cercò di rassicurarla: «Potremmo partire per l'India e andare a trovarla, un giorno». Dopo il matrimonio, la madre di Esmeralda tornò in India, lì da dove aveva viaggiato insieme alla figlia per raggiungere l'Inghilterra.
La duchessa alzò il capo velocemente, guardandolo dritto negli occhi: «Parlate seriamente?», aveva uno sguardo speranzoso.
«Certo, so cosa significa voler abbracciare qualcuno e non poterlo fare. In fondo siamo un po' tutti come Haydn».
Esmeralda tentò di cambiare discorso: «Il libro che avete letto ha ragione. Avremmo dovuto parlare fin dall'inizio di musica».
Jonathan insistette nel conoscerla meglio: «Non vorrei sembrarvi inopportuno con questa domanda, ma... vostro padre?».
«"Padre", non è neanche da definire tale. È sempre stato violento nei confronti di mia madre, successivamente l'ha ripudiata per un'altra donna. Forse è stato meglio così».
Lui l'osservò in segno di comprensione, dopodiché, gravò la mano sul volto della duchessa, accarezzandole la guancia: «Non avrei dovuto trattarvi in quella maniera», disse.
Lei, a sua volta, poggiò la mano su quella del visconte, che ancora la stava accarezzando: «Ho sbagliato anch'io, baciando un altro».
«Voi non siete obbligata ad amarmi, non è uno sbaglio».
«Eppure mi sento ancora così in colpa». Dopo qualche secondo di silenzio, cambiò nuovamente discorso: «Ho notato che l'amica di vostra sorella ha un debole per voi».
«Risparmiatevi pure la gelosia, Rose non è il mio tipo».
«Scendete dal piedistallo, non sono affatto gelosa», pronunciò con aria di sfida.
Lui continuò reggendo il gioco: «E se io le dessi un bacio, domani, difronte a tutti?».
«Io ti darei uno schiaffo, domani, difronte a tutti».
«Be', però una volta sposati...».
«Tu e lei sposati?», chiese stupita.
«Perché? Non staremmo bene insieme?».
Il visconte riuscì a strapparle un sorriso. «Assolutamente no!», esclamò, poi, la duchessa.
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The never exact
Romance"Tutto è lecito in guerra e in amore ma alcune battaglie non lasciano vincitori, solo una scia di cuori spezzati che ci fa chiedere se il prezzo che paghiamo valga davvero la pena di combattere."