Capter 12

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Che memoria di merda che ho...

Non ne poté più. Era almeno la cinquantesima lattina di Coca Cola che vendeva. I turisti andavano pazzi per quella cosa... Calipso notò che erano principalmente gli Europei. Personalmente preferiva la Diet Coke, ma decise che non avrebbe giudicato nessuno. D'altronde perché avrebbe dovuto? Lei era una spia: cosa c'era di più strano?

Osservò tutti i turisti che aveva davanti. Era tardo pomeriggio ormai e aveva servito di tutto e di più a tutti i tipi di turisti. Vari italiani, molti inglesi, alcuni semplici canadesi, altri addirittura greci o giapponesi. Molti ragazzi di molte nazionalità indossavano una maglietta arancione fluo con la scritta "Camp Half-Blood". Lei era rimasta perplessa e quando aveva chiesto a una ragazza cosa significasse quella le aveva spiegato che veniva da una saga di libri che parlava di mezzosangue: mezzi dei e mezzi umani. Calipso si era chiesta se il Campo avesse preso ispirazione da lì.  Poi c'erano altri ragazzi che avevano una maglietta viola con la scritta in oro "SPQR Camp Jupiter". Si era informata e aveva scoperto che facevano parte degli stessi libri.

Decise che li avrebbe letti un giorno anche perché avrebbe tanto voluto sapere il motivo per cui tutti andavano all Empire State Building parlando di un 600esimo piano.

Percy sbiancò quando vide Katie andare verso di lui con una faccia arrabbiata. Era almeno la quarta volta che succedeva.
«Posso riuscirci, dai! Ce la faccio!» esclamò.
Lei prese un profondo respiro «Percy caro, non puoi dire di farcela e poi mettere nel secchio per lavare a terra IL DETERSIVO DEI CESSI!».

Percy arrossí mentre i suoi amici ridevano di lui. Katie borbottò qualcosa sul cervello dei maschi mentre vedeva come sistemare il casino che aveva fatto senza sprecare tutta quell'acqua.

Will prese in considerazione l'idea di buttarsi giù dalla finestra. Non gli importava di non morire e finire in coma perché era al primo piano. Sarebbe comunque stato più divertente di stare seduti su una scrivania a pensare al senso della vita. A un certo punto cominciò a pensare a qualche piano per attaccare la stanza 11 e le pensò veramente di tutti i colori. Stava valutando le probabilità di essere scoperti facendo un buco nel soffitto e calandosi dal piano di sopra, quando una donna corse nell'infermeria nel panico totale spingendo un ragazzino di quattordici anni che si reggeva il braccio con una smorfia.

Pregò Will di fargli esami su esami: Tac celebrale, radiografia, biopsia, esami del sangue e chi più ne ha più ne metta. Il ragazzo lo guardò con una faccia da "Scusala, é pazza".
«Mamma sono solo caduto dal terzo gradino. Sto bene» disse con un forte accento inglese guardando Will perché confermasse. Lui annuì e gli mosse leggermente il braccio prima di costatare che si sarebbe solo fatto un livido nella peggiore delle ipotesi.
Cominciò a pensare di dovergli dare il lecca-lecca, ma aveva pur sempre quattordici anni. Vedendo la mamma pensò di doverlo dare a lei. Quando le porse il dolcetto lei lo guardò spaventata «Potrebbe avere un calo di zuccheri, ha ragione. Devo dargli più succo di frutta e...».
«Signora, il dolcetto é per lei. Si deve calmare» la faccia di Will era troppo seria per quella situazione.
Il figlio scoppiò a ridere mentre lei arrossiva e ringraziava.

«Sai, ci speravo. In due anni non sei mai venuto eppure continuavo a sperarci» gli sorrise. Non c'era un vetro che li separava, Jason aveva chiesto esplicitamente di essere messi in una stanza da soli ma comunque con la sorveglianza delle telecamere. Aveva chiesto che le venissero anche tolte le manette. Lui era protetto da metà staff del penitenziario, tra guardie fuori la porta e guardie che li osservavano dai computer. Anche l'audio era acceso così che non sospettassero cose strane. Piper non avrebbe potuto fargli niente.

Anche perché lui l'avrebbe messa KO senza troppi sforzi quindi...

«In realtà non pensavo di venire. C'ho pensato all'ultimo secondo» ammise poggiando un braccio allo schienale della sedia per poi toglierlo subito dopo. Lei si mise seduta a gambe incrociate «E cosa ti ha spinto a venire?».
Jason ci pensò «Afrodite. L'ho vista e mi ha ricordato molto te. Fisicamente ovviamente, non ti ci vedo a sposarti per poi uccidere». Lei annuì: Piper McLean era tutto tranne una che traeva piacere dalla morte della gente.

Piper sospirò e si alzò per sgranchirsi le gambe cominciando a girare per la stanza, poi si mise davanti a lui e lo fece alzare. Gli fece posizionare il dito sul suo polso per farle sentire il battito cardiaco in modo tale che avrebbe capito quando mentiva.

«Me ne pento».
«Troppo tardi».
«Mi manchi».
«Fottiti».
«Ti amo».

Il battito era rimasto sempre uguale, non era cambiato di un secondo.
Jason esitò poi a occhi lucidi disse: «No, non é vero».
«Ti amo, Jason. Lo sai. E tantissimo anche. So che mi ami anche tu».

Piper si fiondò sulle sue labbra. Jason lo trovò sbagliato, assurdo, inaspettato, ma non si spostò. Piuttosto approfondì il bacio schiudendo le labbra. Il suo cuore cominciò a battere all'impazzata, risvegliando la vecchia sensazione che provava ogni volta che la baciava. La sentì sorridere sul suo viso e non poté fare a meno di sorridere anche lui.
Sapeva che era sbagliato. Ma non gli importò. In quel momento c'erano solo lui e lei, Jason e Piper, due ragazzi che si amavano da anni, nemici, traditori ma amanti.

Non l'avrebbe perdonata per quello che gli aveva fatto, ma quel bacio era un punto a suo favore.
Si separarono per mancanza di ossigeno, ma le loro fronti rimasero unite. Gli occhi chiusi, consapevoli del sorriso dell'uno e dell'altra.
Jason incontrò i suoi occhi caledoscopici e le accarezzò lo zigomo in un gesto d'affetto.

Lei chiuse le palpebre, beandosi di quel contatto.
Era sincera. Non gli avrebbe più mentito. Quando lui si era ritrovato nel sotterraneo di Giove, lei si era promessa di dirgli sempre la verità, di non ferirlo più. “Ti amo” era stata la cosa più sincera che fosse riuscita a dire in tutta la sua vita.

Per questo dovette reprimere le lacrime quando lui uscì dalla stanza dicendo "Addio, Miss Mondo".

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