Capter 4

74 8 74
                                    

Per poco il telefono non le cadde dalle mani. Le lacrime le offuscarono la vista perciò fece un po' di fatica a trovare la sedia su cui voleva sedersi. «Fratelli?» sussurrò.
«Si, Haz... Io... Avrei preferito dirtelo di persona ma noi siamo a New York, Long Island, e tu-»
«Si si, lo so» lo interruppe. «C'é un modo per risalire a chi ha scritto quel foglio? Magari sta mentendo...».
«Sai meglio di me che quando é un falso di solito mettono la firma» le ricordò Nico dall'altro capo del telefono. Hazel prese un respiro tremante.

«Io... Più tardi andrò al penitenziario. Volevo andarci per Giove, ma a quanto pare dovrò trattenermi un po' di più» si passò una mano sul viso.
«E se mandassimo gli altri a parlare con Giove mentre io e te ci concentriamo su Bianca?» chiese speranzoso.
La ragazza si morse il labbro «Meglio Percy: Will é stato torturato, Jason é suo figlio e Calipso ha perso il suo ragazzo. Percy é l'unico che non porta grande rancore. Frank anche sarebbe neutrale, ma Giove non parlerebbe mai a un canadese».
«Perché voi americani odiate i canadesi proprio non lo capisco»
«Perché voi italiani odiate i francesi proprio non lo capisco»
«Touché. Allora... A dopo sorellina» un brivido percorse la schiena di entrambi. «Ciao Neeks».

Nico guardò Will seduto sul letto accanto a lui. «Come sta?» chiese il biondo. Il ragazzo si morse il labbro «Non credo stia molto bene...».
«Tu come stai?»
«Come posso stare? Ho appena scoperto che mio padre é un pezzo di merda e che devo combatterlo. Ho scoperto di avere due sorelle e una di loro é Bianca. La stessa Bianca che ti ha torturato».
«Vuoi che venga con te?» gli chiese prendendogli la mano. Nico la baciò dolcemente poi l'accarezzò col pollice «É una cosa che dobbiamo fare noi due, tu vai a esaminare il resto del foglio».

Jason aveva la giornata in cucina, Percy era con Nico e Hazel, Calipso stava passando la sua giornata libera con uno sconosciuto mentre Frank non aveva assolutamente niente da fare. Perciò quando Will si poggiò allo stipite della sua porta col foglio stropicciato in una mano, le chiavi della macchina nell'altra, giacca, cravatta, camicia e occhiali da sole, non ci pensò due volte a prendere la sua felpa e a uscire.

«Dove si va?» chiese allacciandosi la cintura. «Dalla moglie di Apollo. Lì c'è scritto solo il suo nome e il suo indirizzo quindi neanche il nostro informatore sa il suo cognome» Will affondò gli occhiali da sole nella sua zazzera di capelli biondi.
Frank ridacchiò: era costretto a mettersi quella specie di divisa durante gli interrogatori come quello per non farsi riconoscere troppo facilmente. Infatti gli altri agenti erano costretti a chiamarlo "Agente 7" per non dire a nessuno il suo nome anche se era un nome abbastanza diffuso. L'agente dell'agenzia segreta canadese invece indossava una semplice felpa e dei jeans.

«Magari non ha voluto scriverlo» ipotizzò il moro riferendosi al cognome della moglie di Apollo. Will scrollò le spalle «Non lo so. Fatto sta che é a Manhattan quindi dobbiamo farci un'ora di macchina. Spero solo che ne valga la pena».
Il cino-canadese annuì concorde. «Spariamo almeno che questa Naomi sia simpatica».
«Ha lo stesso nome di mia madre quindi deve esserlo».

«Vedrò mai il tuo viso?» chiese Calipso. Il ragazzo accanto a lei sospirò poi scosse la testa. Stavano passeggiando un po' e chiacchieravano del più e del meno. La ragazza si trovava bene con lui. In quel momento aveva il cappello con la visiera abbassato sugli occhi, occhiali da sole e una sciarpa tirata fin sopra al naso. Il k-way nero gli dava un nascondiglio per le mani coperte dai guanti.
«Quando ho lasciato la mia agenzia segreta mi hanno fatto giurare di non dire a nessuno che sono qui. Quindi devo stare sempre nascosto e non posso mai correre il rischio. Mi dispiace... Se volessi allontanarti perché non ti fidi di me ti capirei perfettamente, ma spero che non lo farai».

Lei scosse la testa lentamente, continuando a guardarlo con sospetto. La sciarpa era caduta leggermente, abbastanza da permetterle di vedere un piccolo lembo di pelle scura. Lui non se ne accorse, ma non correva rischi: non si vedeva praticamente niente.

«Sei molto bella».
La ragazza arrossí «Grazie».
«Il tuo ragazzo era molto fortunato. Come si chiamava?». Lei sorrise leggermente e si godette al massimo il sapore di quel nome: «Leo. Leo Valdez».
«Leonard?».
Calipso scoppiò a ridere scuotendo la testa «No, no. Si chiamava Leonidas».
Lo sconosciuto non fece commenti ma Calipso ebbe la sensazione che stesse sorridendo.

«E tu invece? Come posso chiamarti?» gli chiese. Lui ci pensò poi disse «Festus. Puoi chiamarmi Festus».
«Festus... In latino significa felice, giusto? Perché sei felice?».
«Sono felice di averti incontrato. E sono felice che tu stia superando la morte di Leo. Mi accontento di poco».
Calipso gli sorrise leggermente «Anche Leo si accontentava della mia felicità, sai? Siete molto simili».

Poi l'agente segreto assunse un tono formale: «Sono contenta di averla resa felice, signore. Posso fare altro per lei? C'è un modo per renderla ancora più felice?».
Festus ridacchiò poi disse in tono malinconico: «Vorrei stare con la mia ragazza, abbracciarla e baciarla per ore. Vorrei stare col mio migliore amico». Calipso gli mise una mano sulla spalla «Un giorno li rivedrai».
Annuì «Manca poco».

Facendo attenzione a non fargli cadere sciarpa e cappello, Calipso lo abbracciò con forza sperando che questo potesse consolarlo. Non immaginava che quella era l'unica cosa che Leo potesse desiderare. Anche perché lei pensava che gli amici di Festus fossero morti.

«Ciao pazzo» salutò Percy seduto oltre il vetro. Giove sembrò deluso di vederlo. «Speravo venisse Jason».
«Si così ti faceva fuori»
«Mi andava bene anche l'altro biondino»
«Ringrazia che sono venuto io e taci».
L'uomo fece un sorriso sicuro di sé mentre lo ammanettavano alla sedia dall'altra parte del vetro. «Immagino che sei in missione contro gli "Olimpici"».
Percy dilatò le narici e si morse la guancia, trattenendosi dal dare un pugno al vetro. Stava per fargli la prima domanda quando Giove disse: «Non otterrai niente da me. Non parlerò. L'Arma compierà il suo lavoro e anch'io uscirò da qui. L'accordo con Ares é questo».
«Credici» sibilò Percy.
Giove sorrise «Non potete fermarci, tu non puoi fermarci. Jackson questa storia é letteralmente un casino famigliare e ci sei dentro anche tu. Dimmi: da quanto tempo non senti tua madre?».

Il viso di Percy s'indurí. “Tre mesi” avrebbe voluto dire. Sua madre é scomparsa da tre mesi.
«Lei dov'è?» chiese duramente.
Giove sorrise «Ares e Ade si stanno assicurando che tu non ti muova troppo».

Percy Jackson uscì dal penitenziario subito dopo aver incrinato il vetro.

Against OlympusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora