1. Lo sconosciuto.

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Angolo autrice
So che dovrei smettere di pubblicare le storie mentre una é in corso ma a mia discolpa "l'inizio della fine" l'ho finita di scrivere ma sto aspettando a pubblicarla per sapere il vostro parere.
Quindi, vogliatemi bene comunque eee nulla, buona lettura.❤️‍🩹

16 Ottobre.

Al cantare di Antonio, spalanco gli occhi e mi tiro a sedere. Infilo le pantofole e poi mi stiracchio. Faccio il minor rumore possibile per non svegliare papà che é andato a dormire troppo tardi. Io ho insistito affinché non rimanesse sveglio fino a tarda notte solo per stare in compagnia di Star, lui però non ha voluto sentir ragione e ha fatto di testa sua. In punta di piedi giungo fino alla cucina e, mentre preparo la colazione, osservo il sole sorgere.
Qui nel Vermont verso la metà di ottobre incomincia a fare un gran freddo, le temperature durante la notte scendono drasticamente. Mi stringo nella felpa grande di Jason con la scritta University of Vermont verde pino. Sorseggio il mio thé alla mela e cannella e, quando lo finisco, lavo la tazzina e mi cambio velocemente. Indosso un paio di jeans sgualciti e scoloriti e poi esco di casa per controllare Star.
"Ei bella" sussurro aprendo il box e inginocchiandomi davanti alla cavalla, lei sbuffa e poi nitrisce.
"Devo chiamare Jason, decisamente" esclamo prima di prendere in mano il piccolo e vecchio cellulare e chiamare Jason, amico e veterinario di fiducia.
"Destiny, tutto ok?" risponde con voce impastata dal sonno.
"Perdonami Jason, ma Star non ha una bellissima cera, ho la sensazione che stia per nascere il puledro" lo metto al corrente.
"Va bene, mezz'ora e sono da te" mi immagino già il suo viso calmo mentre cerca di ragionare su cosa prendere e come fare.
Due ore dopo, finalmente Star ha smesso di nitrire ed é insieme al piccolo puledro. Jason sta facendo gli ultimi accertamenti mentre io e papà guardiamo estasiati madre e figlio.
"Bene, allora io vado. Se ci sono problemi non esitate a chiamarmi" esclama stringendo la mano a mio padre e lasciandomi un bacio sulla guancia. Il ciuffo biondo mi solletica il collo mentre le sue labbra sfiorano la guancia.
"Grazie mille" dico cercando di nascondere l'imbarazzo. Ci saluta un ultima volta con la mano e poi sparisce dentro la sua Jeep.
"Mi occupo io delle galline, tu potresti controllare le pecore? Grazie piccina" papà mi fa l'occhiolino e poi si dirige verso il pollaio. Passiamo il resto della giornata ad occuparci degli animali e, quando si fa ora di cena, papà mi manda a lavarmi. Aziono il getto della doccia e chiudo gli occhi, sfinita dalla giornata. Insapono corpo e capelli e poi mi risciacquo. Esco dal box e mi decidi o ai capelli. I riccioli d'oro contornano il mio viso stanco e leggermente arrossato per via della temperatura dell'acqua usata. Mi faccio una treccia svelta e poi li asciugo.
"Piccina, é pronto!" mi avvisa papà con il suo vocione dolce. Infilo le pantofole e lo raggiungo in cucina.
"Oggi Malakai ha fatto un sacco di capricci, non voleva lasciarmi le uova. Incredibile!" borbotta. Ridacchio sottovoce poco prima di sentire un tuono piuttosto forte.
"Piccina, tranquilla. Alla radio hanno detto che in questi giorni ci saranno parecchie piogge" mi avvisa prendendo un cucchiaio di brodo. Annuisco e poi incomincio anche io a mangiare.
Alle 9 di sera decidiamo entrambi di andare a letto, stanchi come non mai, mentre la pioggia cade a dirotto.
"Notte papà" sorrido abbracciandolo. Lui ricambia e poi si gratta la barbetta sul mento. Socchiudo la porta di camera mia e poi mi stendo a letto, cadendo in un sonno profondo.
Un rumore improvviso di legna che cade a terra mi risveglia dal sonno. La pioggia cade a dirotto e i lampi si fanno sempre più intensi. Indosso la felpa e poi le pantofole.
Prendo in mano il fucile di papà che si trova lungo il corridoio per arrivare all'ingresso e poi spalanco la porta. É da quando sono piccola che viviamo insieme solo io e papà, mi ha insegnato a difendermi e a sparare, per autodifesa ovviamente.
Un ragazzo alto e muscoloso torreggia davanti a me. É zuppo dalla testa ai piedi e a stento si regge. I capelli corvini gli coprono gran parte del viso mentre due occhi scuri e stanchi mi osservano.
"Le serve qualcosa?" chiedo mettendo in bella vista il fucile di papà. I suoi occhi scendono verso il mio fianco e non fa in tempo a dire qualcosa che mi scivola addosso. Lo afferro giusto in tempo mentre lui cerca di non farmi cadere.
"Sconosciuto, collabora" esclamo cercando di farlo entrare in casa per metterci al riparo dalla tempesta. Lui zoppica e si trascina con me fino al divano della sala. Spalanco la bocca alla vista della sua ferita sul ginocchio e perciò chiamo a gran voce papà.
"Non urlare, ragazzina" biascica scostandosi i capelli da davanti agli occhi. Borbotto parole incomprensibili finché papà non arriva in tenuta da letto.
"Per diamine! Chi é questo ragazzo!?" chiede aumentando il passo e venendo a vedere lo sconosciuto.
"Sono Aiden, signore" sussurra cercando di alzarsi, fallendo miseramente.
"Da quanto tempo eri lì fuori sotto la pioggia. E poi, che hai fatto al povero ginocchio?" domanda scuotendo la testa. Non aspetta risposta e sparisce in camera sua.
"Devi toglierti i vestiti, ti prenderai un malanno a meno che tu non ce l'abbia già" sussurro cercando di farlo sedere sul divano. Con molta difficoltà, per via del suo peso, ci riusciamo. Papà posa i vestiti sul divano e mi chiede gentilmente di andare a prendere una bacinella e un asciugamano. Faccio ciò che dice equando ritorno vedo lo sconosciuto, Aidan, con indosso i vestiti di mio padre da giovane.
"Ok ragazzo, ora dovrai solo stare fermo. Farà tutto la mia piccina" esclama. Annuisco e poi intingo l'asciugamano nell'acqua fredda e lo poso sulla sua fronte che scotta. Il ragazzo rilascia un sospiro di sollievo e poi cerca di sorridermi.
"Grazie ragazzina" biascica prima di chiudere le due pozze nere e cadere in un sonno profondo.

𝐓𝐡𝐮𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐭𝐨𝐫𝐦Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora