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La velocità con cui Manuel, una volta ripreso conoscenza, si mette a sedere, poggiando le spalle al muro e controllando di avere ancora la pistola, è paragonabile alla foga con cui il suo cuore sta cercando di sfuggirgli dal petto, probabilmente perché vorrebbe soltanto raggiungere quello di Simone. Simone che sembra essere stato investito da un'auto a tutta velocità per com'è ridotto, Simone che con una mano si tiene il fianco dolorante, e con l'altra lo tasta, per controllare che non ci siano ferite.

Lui avrebbe dovuto proteggerlo, evitare che chiunque gli torcesse anche un solo capello, ed invece si ritrova addosso le sue mani che cercano di assicurarsi che stia bene.

«S-Simone» sussurra, stremato, e Simone gli è subito di fronte, pronto a scrutarlo con quegli occhi giganti.

Riesce a portare una mano sulla sua guancia, colpita in maniera spregiudicata. Sente la pelle graffiata sotto il suo pollice. «Scusa» è tutto ciò che riesce a ripetere. Sembra un disco rotto. «Scusa Simone» ribadisce, mentre nota la camicia aperta e l'assenza della cravatta. Dev'essersene liberato nella speranza di respirare meglio.

«Mi dispiace» aggiunge, e Simone – rimasto fino ad allora in silenzio – decide che ne ha avuto abbastanza, e allora al diavolo le ecchimosi che ormai pervadono il suo busto ed il suo volto, il dolore lancinante alla gamba sinistra e la difficoltà a fare anche un solo respiro profondo. Si sporge e lo abbraccia.

È l'abbraccio più scomodo di sempre ed allo stesso tempo il più giusto di tutti. È in ginocchio, ha le braccia attorno al collo di Manuel e sente poco dopo le sue mani sui suoi fianchi e così sta bene.

«Non è successo niente» gli fa notare poi, allontanandosi, e Manuel pensa che forse cerca di convincere più sé stesso che lui.

«Andiamo a casa, guido io però» risponde soltanto; tra i due è quello messo meglio, dopotutto.

Alle scuse ci penserà dopo.

Lo aiuta ad alzarsi, accompagnando ogni minuscolo movimento con un "ce la fai?", "ti fa male?", "attenzione", "piano", finché non raggiungono la macchina.

Non vede l'ora di arrivare a casa e controllare che non abbia nulla che richieda attenzione medica. Non vede l'ora di saperlo finalmente al sicuro.

Gli allaccia la cintura di sicurezza, ché qualsiasi azione a Simone può far male e poi si siede al posto del guidatore.

«Mi dispiace Simone, io avrei- avrei dovuto proteggerti, questo... questo non sarebbe dovuto accadere perché ci sono io, io avrei dovuto evitarlo, e invece guarda come stai ridotto pe' colpa mia»

È un fiume in piena Manuel, ha iniziato a parlare non appena ha messo in moto e non sembra avere intenzione di porre fine a quella specie di monologo.

Guarda la strada, quindi non si accorge del fatto che Simone ha chiuso gli occhi. Non sta dormendo, semplicemente non ha l'energia per poter ribattere, per tenerli aperti. Ci penserà una volta arrivati a casa.

«Forse dovresti assumere qualcuno oltre me, o forse qualcuno che non sia io» sussurra, e lo sta dicendo più a sé stesso che a Simone.

Poi finalmente, grazie ad un semaforo rosso, si accorge che Simone ha gli occhi chiusi, vede la luce del semaforo riflessa sul suo viso martoriato. Crea un contrasto con il viola ormai dilagante che gli fa attorcigliare le viscere. Vorrebbe vomitare. Senza riflettere porta un dito a sfiorare la fronte di Simone, straordinariamente priva di graffi. Ha bisogno di sentire anche il minimo contatto con la pelle liscia dell'altro, con una parte di lui ancora immacolata.

«Ho paura, e non ho mai avuto paura» sussurra, ormai certo di trovarsi solo in quell'abitacolo, con Simone avvolto dai sogni. «Ho paura che te succeda qualcosa» specifica, come se non riuscisse più a tenere a bada quell'incubo che da giorni lo tormenta, ma che ora ha incredibilmente preso la forma della realtà.

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