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«Mi racconti qualcosa?»

L'orologio posto di fronte al letto di Simone segna quasi mezzanotte, al di là della finestra soltanto la luce della luna, eppure c'è qualcosa in Manuel che preme perché vuole sapere, che non vuole dormire, perché il tempo con Simone è prezioso, e lui vuole goderselo tutto.

Non vuole perdere un battito del suo cuore, che riesce a sentire perché vi ci è poggiato sopra. A nulla sono servite le proteste dell'altro, lui è rimasto lì, con l'intenzione di dormire con la faccia spiaccicata sul suo petto, una gamba tra le sue ed una mano tra i suoi capelli.

Vuole sapere tutto di Simone, dal più bel giorno della sua vita al momento in cui ha creduto che non ce l'avrebbe fatta.

«Quando avevamo tre anni, nessuno riusciva a distinguere me e Jacopo. A volte nemmeno i nostri genitori» inizia a parlare Simone, e lui – oltre ai regolari colpi che il suo cuore fa arrivare al suo orecchio – sente anche la risata nella sua voce.

«L'unico modo per essere certi di avere di fronte me era controllare attentamente il neo sul mio naso» ridacchia e Manuel sente una serie di colpi ben assestati all'altezza dello stomaco.

«Allora quando ci davano i biscotti, potevamo averne soltanto tre, ma ci scambiavamo, io mi fingevo Jacopo e Jacopo fingeva di essere me, e alla fine – tra mamma e papà – qualche biscotto di più riuscivamo sempre ad averlo» spiega, ridacchiando. E si affretta ad aggiungere che «è stupido, lo so» ma Manuel non è dello stesso avviso.

«Non è stupido, è bellissimo» gli fa infatti notare.

«Voglio conoscerlo» gli comunica, prima di lasciargli un bacio sul petto e poi spostarsi, per far incontrare i loro occhi.

«Jacopo?» domanda, incredulo, Simone.

Manuel annuisce soltanto, poi gli ruba un bacio e poi un altro glielo lascia in fronte.
«Grazie» biascica poi – preso un po' dal sonno.

«Di?»
«Di avermi regalato un pezzo di te»

E Simone non riesce a trattenersi, non quando ha visto la morte avvicinarsi pericolosamente, come quando ci si avvicina troppo ad un precipizio e si scorge il vuoto più assoluto al di là della solida roccia.

«Ti ho già dato tutto di me, Manuel»
«Dal primo giorno, forse»

Qualsiasi cervello tende a rallentare quando si trova a dover elaborare frasi, parole, emozioni di esclusiva proprietà del cuore, ed è proprio quello che accade a Manuel, che sente una strana forza scuoterlo, un susseguirsi di scariche elettriche attraversare il suo corpo intero, una serie di impulsi inanellati che implorano una sola cosa: un bacio. O forse no, cento baci. Oppure mille. E poi di nuovo, da capo.

Ognuno di quei baci è l'atto di un pièce teatrale del quale loro sono i principali – ed unici – protagonisti, ogni ti amo che ne segue è l'intervallo che consente all'orchestra di accompagnare gli attori, ed è forse la migliore metafora del loro rapporto, ché prima di conoscersi erano soltanto due attori smarriti, confusi, ma insieme hanno dato vita ad un'opera strabiliante, accompagnati dai loro sentimenti come fossero un'orchestra perfettamente accordata.

«Mi manca» si lascia sfuggire Simone, quando è quasi certo che Manuel stia ormai dormendo, ma Manuel non dorme fin quando non vede Simone chiudere gli occhi, per cui lo sente.

«Chiamiamolo, ti aiuto io» propone infatti, subito. Senza esitazione alcuna.

«Correrebbe subito qui» sbuffa Simone, che nel frattempo ha iniziato ad accarezzare i capelli dell'altro.

«Ed è un male?»
«No, però io non... non voglio che si preoccupino tutti per me»

Ha un senso il ragionamento del minore, anche alle orecchie di Manuel. Sono le parole di chi – forse – ha sempre creduto di disturbare, di chi ha sempre trovato il modo di cavarsela da solo, eppure il fatto che abbia un senso non significa che sia giusto, ché tutti hanno bisogno di qualcuno disposto a prendersi cura di loro, di qualcuno desideroso di stringere una mano anche quando non è questa a richiederlo.

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