Capitolo 22

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Ancora pioggia su di lui.
Un’atmosfera che sembrava volerlo perseguitare ogni istante della sua vita.

Vestiti fradici e saturi d’acqua, come i suoi capelli lisciati, rilucenti di un nero surreale, dritti sino alle spalle, Crystal se ne stava seduto a terra: posato ad un tronco d’albero la cui corteccia indossava i segni di una furiosa lotta avvenuta sino a pochi istanti prima tra lui e quell’albero.

Un’ondata di rabbia che aveva chiesto di trovar sfogo, liberandosi in una tempesta di pugni carichi di quella disperazione a lungo trattenuta.

Si passò una mano ai capelli, lo sguardo ora rivolto all’orizzonte dove non poteva che scorgere nubi.

Era impazzito, nonostante i dubbi che ancora lo assalivano.

Dubbi legati al timore dell’essere tenuto all’oscuro di cose che sapeva avrebbe dovuto conoscere. In quanto compagno.
In quanto amante?

Rise piano, incapace di definire un essere come lui sotto determinati termini.

«Povero albero…»

Davanti a lui, Sivade stava in piedi, completamente zuppa. Aveva addosso ancora i suoi vecchi vestiti, non avendone altri. I piedi scalzi come spesso li teneva.

« Saprà guarire le proprie ferite. Sua madre lavorerà per lui» spiegò fissandola nervoso, rabbia che sormontava nuovamente in lui; le braccia incrociate davanti al petto ancora nudo.

La ragazza distolse lo sguardo, posandosi con la schiena ad un albero ancora illeso dalla furia di Crystal. Si concentrò su un giacinto nato all’ombra di un cespuglio, la mente altrove. Cercando di dimenticare quel peso che la opprimeva.

« Vieni qui per favore» la supplicò lui, il respiro quasi affannoso.

Nemmeno la pioggia riusciva a dissolvere quel profumo che tanto amava, un profumo che circondava Sivade nella sua interezza.

Il profumo del suo sangue scarlatto.

Un fluido che garantiva la sua sopravvivenza oltre la sua morte apparente.

La guardò avvicinarsi di qualche passo, fermandosi a breve distanza da lui. Non uno sguardo, non un accenno, non una parola. Aveva cercato il ragazzo in lungo e in largo, volando rasente alle cime degli alberi fino a scorgerlo in quel luogo uguale a molti altri nei dintorni. Eppure ora stava lì e non sapeva che fare.

Lui allungò una mano verso di lei, gelida, bagnata e tesa:
«Per favore…» ripeté sempre più flebile, ben conscio che per il bene di entrambi avrebbe dovuto tenerla a distanza, specialmente in quei momenti in cui la fame lo attanagliava « Poi ti lascio andare…» promise sospirando.

Sivade sollevò lo sguardo su di lui, mesta: «Mi lasci andare?» chiese tremante, per nulla sicura di quello che lui intendeva. Le loro mani s’intrecciarono per volere della ragazza, un’altra mossa a chiudere lo spazio tra loro.

Lui la strinse per un breve istante, sentendosi perduto, pesante, ignobile.

L’attirò verso di sé, facendola inginocchiare al suo livello, attento a non usare troppa forza sul fragile corpo di lei. Sentiva che avrebbe potuto spezzarla da un momento all’altro:
«Libera di fare ciò che ritieni giusto, non ti legherò a me…» la cinse per la vita, smarrito in lei. Due ombre scure che si facevano spazio nei suoi occhi.

Lei rimase in silenzio per un attimo, poi lasciò cadere la fronte sul petto nudo di lui, le mani che andarono a prenderlo per le spalle. Strinse la presa con tutta la forza che aveva in corpo, chiudendo gli occhi per decidere cosa dire.

Si sentiva indecisa, a vederlo così pronto a lasciarla.

Ma, dopotutto, Crystal sentiva che non poteva costringere a lui una principessa il cui futuro non poteva che prospettarsi radioso. Oltretutto sapeva d’essere una creatura malata, bisognosa di certe attenzioni, di certi riti di routine.

𝑨 𝑫𝒂𝒓𝒌 𝑩𝒐𝒏𝒅 𝒐𝒇 𝑩𝒍𝒐𝒐𝒅Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora