Capitolo 6

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Quando il tempo peggiorò i giorni iniziarono a confondersi e a sfumare l'uno nell'altro. Erano scanditi dalle notti gelide, passate sotto ad un cumulo di pellicce, dall'andare a prendere l'acqua da bere al ruscello che sfociava nel Winokapau, dallo spaccare e sistemare la legna nei momenti in cui non nevicava troppo forte. E dai bagni.

Circa una volta ogni due o tre giorni Hannibal scendeva al lago o andava al ruscello (a seconda di dove tirava il vento, sceglieva uno o l'altro posto), e tornava con due secchi pieni d'acqua. Li scaldava fino a farli bollire e li versava nella vasca in rame che si trovava nel bagno. Regolava la temperatura dell'acqua con quella fredda e poi, a turno, si immergevano. Will era riuscito a prendere confidenza con il proprio corpo e quello di Hannibal, per cui era diventato semplice e naturale spogliarsi davanti a lui e vederlo nudo. Riusciva a non sessualizzare la situazione. Non si sentiva più esposto, ma continuava a desiderare quei momenti perché era allora che Hannibal gli sembrava più fragile e vulnerabile. Il piacere che provava era profondamente umano e basilare, quasi primordiale. L'uomo che era stato un avversario e un pericolo, qualcuno da battere nei continui giochi di astuzia, qualcuno con cui aveva giocato una partita a scacchi durata anni, adesso era un compagno. Qualcuno con cui condividere piuttosto che combattere.

In quei momenti era più facile toccarlo, perché Hannibal non nascondeva nulla.

Un giorno, mentre Hannibal era immerso nella vasca, Will ne scavalcò il bordo e si sedette dal lato opposto, facendo strabordare l'acqua sul pavimento. Hannibal aprì gli occhi, stupito, poi si sistemò in modo da fargli spazio. Will si sedette in modo speculare, rimanendo in silenzio a godersi il calore. Guardò le loro gambe incrociate, che si sfioravano sott'acqua.

Con una mano gocciolante raggiunse il viso di Hannibal. Lo sfiorò sugli zigomi e sulla mascella così ben disegnata, tracciò linee invisibili sulle piccole rughe che circondavano gli occhi e gli angoli della sua bocca, si soffermò sulle sue cicatrici. Spinse leggermente le dita sulle sue labbra finché Hannibal non le aprì. Will toccò i suoi denti, sentendone uno dell'arcata superiore leggermente storto. Le fece scivolare nella parte umida all'interno del labbro inferiore, perdendosi in quella sensazione di morbidezza. Spinse ancora, per sentire con la punta dei polpastrelli la lingua, e poi lasciò che Hannibal li succhiasse. Will rimase come ipnotizzato da quelle sensazioni liquide, mutevoli, dalla vista della bocca di Hannibal le cui labbra si tendevano ad accogliere le sue dita, la lingua calda che le spingeva a toccare il palato.

Era una visione erotica, quasi oscena: vedere le proprie dita scomparire nella sua bocca e poterlo toccare dall'interno erano sensazioni incredibili. Hannibal fece un verso, un mugolio appena accennato, mentre con il palmo spingeva verso il basso la base del proprio pene eretto per darsi un po' di sollievo.

"Non aprire gli occhi" disse Will. "Puoi toccarti, ma non aprire gli occhi".

Hannibal annuì, continuando a succhiargli le dita, poi chiuse il pugno attorno alla propria erezione e lo abbassò con un gesto rapido, poi continuò con movimenti brevi e secchi, superficiali. Venne in fretta, mordendogli le dita, con un verso gutturale e strozzato.

Will ritrasse la mano. I denti di Hannibal gli avevano graffiato la pelle, e una delle falangi sanguinava leggermente. Will la guardò come se non fosse sua, poi si leccò il dito, sentendo in bocca il sapore del suo stesso sangue.

Uscì dalla vasca e si vestì in fretta, lasciando Hannibal solo con i suoi pensieri.

***

Hannibal quella sera mangiò in solitudine, perché Will si era rintanato nel loro giaciglio sul solaio e non era più sceso. Non se ne preoccupò troppo. Lavò le stoviglie e le sistemò nei ripiani.

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