Capitolo 8

450 22 13
                                        


Nei giorni successivi il tempo peggiorò nuovamente, quindi si rinchiusero in casa.

Nel soppalco che sovrastava l'ingresso, dietro a un mucchio di robaccia, Hannibal aveva trovato uno scatolone con del materiale che nessuno aveva deciso di portare via o riutilizzare. C'erano alcuni libri e un vecchio album da disegno, lasciati lì da lui stesso probabilmente parecchio tempo addietro.

Hannibal prese un grosso tomo con una raccolta delle opere maggiori di Shakespeare, mentre Will decise di utilizzare quel tempo per costruire una sedia a dondolo per la veranda. Aveva in mente un modello semplice e squadrato, con due posti per accoglierli entrambi. Era uscito qualche mattina per tagliare degli abeti giovani che facessero al suo caso, dopo aver preso le misure con un pezzo di corda. Aveva ammucchiato quindi nel patio una serie di alberi sottili abbastanza per essere lavorati con i pochi strumenti che aveva trovato nel capanno nel retro della baita. Lentamente li liberò di tutti i rami più sottili, che vennero in gran parte bruciati nel camino: per giorni ci fu sempre un gradevole odore balsamico dato dalla resina dei giovani abeti.

Scortecciarli fu un lavoro lento, ma Will non se ne lamentò mai: il lavoro manuale gli era sempre piaciuto, e aveva su di lui un fascino particolare. Riuscire a creare oggetti con le sue mani o anche solo lavorare a qualcosa di pratico aveva sempre avuto il potere di schiarirgli i pensieri, e così passava ore intere senza parlare, intento a modellare ogni pezzo con cura.

Un pomeriggio, mentre Will stava lavorando su uno degli assi della sedia, Hannibal gli chiese alcuni dei rami più sottili che aveva messo da parte.

"Cosa vuoi fare?" gli domandò incuriosito.

"Vorrei fare dei carboncini da disegno. Il metodo artigianale è abbastanza semplice: vanno fatti bruciare lentamente in un tubo, e una volta freddati vanno immersi nell'olio di lino. In assenza di quello credo che proverò a utilizzare del semplice grasso fuso".

"Ti do una mano".

Seduti attorno al tavolo ne tagliarono un buon numero, più o meno tutti della stessa lunghezza. Poi riempirono con quelli un pezzo di tubo di metallo recuperato dal capanno e lo misero nel camino, addossato ad uno dei bordi in pietra.

"Ti è venuta voglia di disegnare?".

"Vorrei ritrarti. L'ho fatto spesso, a memoria, dopo le nostre conversazioni nel mio ufficio. Dopo che l'inserviente dell'Istituto Psichiatrico tentò di uccidermi su tua richiesta, li bruciai tutti. Ho ricominciato a Firenze. Quando ci siamo rivisti nel museo degli Uffizi io ero di fronte alla Primavera di Botticelli: è uno dei quadri a cui sono più legato, ma ne sei già al corrente. Al posto del volto di Zefiro c'era il tuo, quella volta".

"Perché Zefiro? Perché io?".

"Zefiro brucia di passione per la ninfa. Volevo che tu bruciassi per me. Inoltre, la Venus Humanitas al centro del quadro è colei che suscita passioni terrene nelle persone e le trasforma in attività contemplativa, e rievoca l'umanità come virtù. Ho desiderato trasformare le mie emozioni verso di te in altro".

"Ci sei riuscito?".

"In parte. Mai completamente. Volevo ucciderti e mangiarti, e farti mio in quel modo. Così come anche tu volevi uccidermi per andare oltre quello che c'era stato. Il perdono non è mai stato semplice tra noi". Will si costrinse a fissarlo, per un attimo andando troppo al di sotto dell'abituale maschera quieta e controllata di Hannibal, e nella sfumatura ambrata dei suoi occhi riconobbe fame e desiderio.

"Ed invece siamo qui" disse Will, in un soffio.

Hannibal lo tirò verso di lui, gli prese il volto tra le mani e lo baciò con un impeto che Will non si aspettava. Lui rispose al bacio, passandogli a sua volta le dita tra i capelli.

Black StarDove le storie prendono vita. Scoprilo ora