Trasmissione in diretta

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Papà era tornato a casa e lo avevo affidato alle cure del nuovo androide, a cui diedi il nome di Joshua. Era bravo, gentile e affidabile ma non era Markus. Per quanto mi sforzassi, trovavo le sue risposte un po' vuote, prevedibili e gli mancava totalmente l'empatia che Markus era riuscito a sviluppare nel corso degli anni trascorsi insieme a noi. Ma piangermi addosso non avrebbe cambiato le cose: Markus non c'era più e non potevo fare nulla per riportarlo indietro. Il passaggio tra il dirmi di non vivere quella situazione come un lutto e metterlo davvero in pratica, però, non mi stava riuscendo un granché bene. Dopo dieci giorni dalla morte di Markus ero rientrata al dipartimento, decisa a essere pienamente operativa. Il cumulo di fascicoli che trovai sulla scrivania mi fecero rimpiangere l'assenza. Gavin mi passò accanto, lanciandone un altro in cima al mucchio.

«Nuovo caso di androide scomparso. Tu sì che sai come divertirti, Manfred.»

«Lo sai che mi piace vivere pericolosamente.»

Gavin rise. «Ti va se ti offro un caffè prima di cominciare a scartabellare tutta quella roba?»

Gli lanciai un'occhiata dubbiosa, ma sorrisi. Lo conoscevo abbastanza bene da sapere che mi stava tendendo un ramoscello d'ulivo.

«Allora, com'è andata in questi dieci giorni?» domandai.

Gavin armeggiò con la macchina del caffè e afferrò una tazza. «Solite cose, niente di nuovo. A quanto pare tu, Anderson e l'idiota di plastica avete parecchio da fare con i devianti. Ho sentito che alcuni di loro hanno svaligiato un magazzino della Cyberlife un paio di notti fa.»

Sgranai gli occhi, incredula. «Perché mai lo hanno fatto?»

Gavin si strinse nelle spalle. «Rispondere a questa domanda è compito vostro, non mio. Non so perché delle lattine ambulanti siano arrivate a tanto. Pare abbiano rubato un intero camion di pezzi di ricambio.»

Mi incupii. «Sono certa che troveremo una risposta presto e risolveremo questa faccenda.»

«Beh, tra Fowler e la Cyberlife non so chi vi stia più addosso. Hank ha fatto gli straordinari mentre non c'eri.»

«Incredibile! Credo siano passati anni dall'ultima volta in cui è capitato.»

Gavin si voltò e mi porse il caffè. «Macchiato e con due zollette di zucchero, come piace a te.»

Gli sorrisi e sentii le guance pizzicarmi. «Quanta precisione» lo canzonai.

«Solo buona capacità di osservazione, Manfred.»

Le nostre dita si sfiorarono mentre prendevo la tazza dalle sue mani ed ebbi l'impressione che Gavin avesse indugiato più del necessario. Ci guardammo per un attimo negli occhi.

«Come stai, Miranda? Anderson non mi ha detto molto, ma ho intuito che tuo padre fosse ricoverato in ospedale.»

«Ora è a casa, sta meglio, ma ci vorrà del tempo prima che possa riprendersi del tutto.»

«E tu ti sei ripresa?»

«Io sto bene» mentii.

Gavin mi scrutò a lungo, come se cercasse di leggermi la mente. Sbuffò e vuotò la sua tazza di caffè. «Mi rimetto al lavoro. Se dovessi avere bisogno di qualcosa, fammi un fischio.»

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