La verità è dentro

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Dietro allo specchio della sala interrogatori assieme a Connor, Gavin e l'agente Chris osservavo Hank alla prese con il deviante.

«Perché l'hai ucciso?» chiese Hank. «Che cosa è successo prima che impugnassi quel coltello?»

Spostai l'attenzione sull'androide, che teneva il capo chino sul tavolo dove era stato ammanettato, trincerato dietro a un muro di silenzio invalicabile.

Hank si voltò verso di noi. Dalla sua espressione capii che cominciava a irritarsi.

«Per quanto tempo sei rimasto nell'attico? Perché non hai provato a scappare?»

Non ci fu nessuna reazione, nemmeno un cenno impercettibile del capo. Hank gli schioccò le dita a pochi centimetri dal naso, attese per qualche istante e infine batté un pugno sul tavolo.

«Dì qualcosa, maledizione!»

Il deviante non sussultò nemmeno. A quel punto Hank si alzò e guardò dritto verso il vetro. «Fanculo, ci rinuncio.»

Uscì dalla sala interrogatori e pochi istanti dopo entrò nella stanza da cui avevamo assistito alla scena. Si lasciò cadere di peso su una sedia accanto a Chris e sbuffò. «Stiamo perdendo il nostro tempo a interrogare una macchina! Non otterremo un bel niente!»

Gavin, appoggiato al muro con le braccia conserte, si strinse nelle spalle. «Potremmo sempre provare a malmenarlo un po'...In fin dei conti non è mica umano».

Mi voltai di scatto verso di lui con espressione accigliata. «Gli androidi non sentono dolore, finiresti solo con il danneggiarlo, il che non ci sarebbe di alcun aiuto con l'indagine.»

«E poi» aggiunse Connor, «i devianti hanno la tendenza ad autodistruggersi quando si trovano in situazioni stressanti.»

«Ok cervelloni, cosa proponete di fare allora?»

«Potrebbe provare a interrogarlo Connor, e io con lui» suggerii.

Gavin scoppiò in una risata sprezzante, ignorando la mia occhiata torva.

«Sono d'accordo» convenne Connor. «Un tentativo non ci costa nulla.»

«Tipo poliziotto buono e poliziotto cattivo?» ci canzonò Gavin.

Lo ignorai e guardai speranzosa verso Hank, che per tutta risposta alzò le braccia come ad arrendersi. «Tanto che abbiamo da perdere? Andate, il sospettato è tutto vostro.»

Connor mi fece un cenno con il capo e ci spostammo verso la sala degli interrogatori.

L'androide non si mosse, nemmeno quando mi sedetti di fronte a lui. Lo studiai con attenzione. Aveva ancora addosso il sangue incrostato del suo proprietario, i vestiti sporchi e una lunga ferita sul braccio destro che gli aveva scoperto i circuiti. Non era un danno grave, ma necessitava di riparazioni. Sul braccio sinistro, invece, la pelle era stata rovinata da ustioni simili a quelle provocate da una sigaretta. Il led sulla tempia non era più rosso come quando lo avevamo trovato in soffitta, bensì giallo, compatibile con un'instabilità trascurabile del software.

Connor rimase in piedi al mio fianco e sfogliò per un breve istante la cartellina con le foto della scena del crimine.  Potevo sentire gli occhi di tutti puntati addosso al di là del vetro. Dovevamo ottenere una confessione a ogni costo. Inspirai profondamente e cercai lo sguardo di Connor, come se averlo lì accanto fosse una sicurezza che saremmo riusciti nel nostro intento.

«Sei danneggiato,» esordii, «è stato il tuo proprietario a farti questo? Ti picchiava?»

Visto che ancora il deviante non dava il minimo segno di una reazione, Connor aprì il fascicolo con le foto di Ortiz e glielo porse.

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