"Io vivo per dominare la vita, non per esserne schiavo"
-Jim Morrison-
Caro diario,
il rumore fisso della macchina che controlla i parametri vitali ancora è stampato nella mia mente, un suono che mi perseguita le notti da anni oramai, da quando tu, mamma, ci hai lasciati.
Avevo solo otto anni quando ti è stato diagnosticato un adenocalcinoma o molto più comunemente un tumore al pancreas che nel giro di qualche mese ti ha portato via da me, da noi, papà non è riuscito a superare la tua mancanza e preferisce affogare i suoi dolori nell'alcool io invece sono costretta a sopperire i miei bisogni per aiutarlo.
Mi manchi, ci manchi.Il tintinnio assordante della sveglia mi obbliga ad alzarmi anche se preferirei sprofondare nelle meandre del mio letto, mi chiamo Helene Smirnov, ho 18 anni e vivo con mio padre Andrea Smirnov, uomo di cinquant'anni con problemi di alcolismo.
Residiamo all'interno di una Roulotte da quando papà ha ipotecato e perso casa nostra, oramai per riuscire a sopravvivere ho dovuto rinunciare agli studi e trovarmi un lavoro, faccio la barista dentro uno squallido nightclub, non è ciò che sognavo per il mio futuro ma ci permette di vivere una vita all'insegna della decenza.Indosso ciò che trovo di pulito e raccolgo tutti i panni da lavare dentro un sacco dell'immondizia nero.
Helene:"Papà sto andando in lavanderia ti serve qualcosa?"
Lui è lì, riverso sul divano, con una bottiglia di Brandy mezza vuota tenuta in bilico da due dita, il cappello gli copre la faccia dalle luci e solo la maglia che si muove grazie al suo respiro mi lascia sperare che sia ancora vivo, prendo le chiavi della macchina e vado.
La lavanderia è il luogo che più mi piace, metto i panni dentro con un po' di detersivo e mi siedo, avvicino le cuffie alle orecchie e il mondo per un secondo sembra essere un posto migliore fino a quando mi sento toccare la spalla e girandomi vedo un ragazzo alto, biondo con due meravigliosi occhi azzurri che mi sorride e mi porge un paio di slip che mi sono probabilmente caduti dalla cesta, con imbarazzo le afferro e accenno ad un sorriso mentre lui cerca di dirmi qualcosa e io mi sfilo le cuffie.
Helene:"Puoi ripetere non ti ho sentito" nascondo i miei slip nella cesta.
Simone:"Ho detto, piacere, mi chiamo Simone" lo guardo stranita, chi ti raccoglie l'intimo da terra e poi si presenta non deve avere di certo buone intenzioni.
Helene:"Ok, simone" mi sorride.
Simone:"Non era mia intenzione metterti in imbarazzo solo che ho notato ti era caduto qualcosa e ho voluto essere gentile" si gratta il capo.
Helene:"Grazie?" Aggrotto le sopracciglia.
Simone:"Va bene allora mi siedo qua e sto zitto fino a che il lavaggio non avrà finito" si siede affianco a me, rimango basita, forse ho esagerato.
Helene:"Helene" si volta verso di me.
Simone:"Cosa? Non ho capito"
Helene:"Mi chiamo Helene, ma preferisco Hel" sorride e mi porge la mano.
Simone:"Allora piacere Hel" gliela stringo.
Helene:"Piacere mio" abbasso lo sguardo.
Simone:"Mentre aspettiamo con ansia che i nostri capi si lavino prendiamoci un caffè da questa meravigliosa macchinetta self service" ride.
Helene:"Volentieri ma non ho spicci li ho finiti per i lavaggi" mi poggia una mano sulla spalla.
Simone:"Non ti ho chiesto di darmi soldi,Hel, solo di berti un caffè scadente con me" prende delle monete dalla sua tasca e le infila all'interno di una macchinetta mezza arrugginita.
Passiamo la mattinata insieme mentre Simone mi racconta della sua vita, una vita come tante un ragazzo di vent'anni indaffarato nell'azienda di famiglia creata da suo nonno, una famiglia sicuramente benestante di alta borghesia ed io per un momento rimango sognatrice mentre lo guardo essere fiero dei suoi risultati lavorativi, mi sembrava quasi di conoscerlo da tutta una vita quando tutto d'un tratto una sua domanda mi spiazza;
Simone:"E tu Hel, raccontami di te" sbianco.
Helene:"Me? Non c'è niente da raccontare di me" sorrido nervosamente.
Simone:"Tutti abbiamo qualcosa da raccontare" mi guarda turbato.
Helene:"Per quanto mi riguarda sarebbe solo tutto da cancellare" abbasso lo sguardo.
Simone:"Esagerata" ride divertito mentre lo guardo e non gli rispondo ment, prendo i miei panni dall'asciugatrice e li ammucchio dentro un sacco, lo guardo e gli faccio un cenno con la testa.
Helene:"Ci vediamo Simone"
Simone:"No non andare, ti accompagno" mi guarda speranzoso.
Helene:"Non c'è ne bisogno" mi volto e sento afferrare da un braccio.
Simone:"Ti prego voglio solo parlare un po'" sorride.
Helene:"Io non.." prendo un respiro "Non abito prettamente in una casa, abito in una roulotte e la cosa non mi emoziona quindi no credo che non mi farò accompagnare da te" abbasso lo sguardo quando sento nuovamente la sua voce.
Simone:"Almeno chiamami, se ti va intendo" si gratta il capo mentre con due dita mi porge un biglietto con su scritto un numero telefonico, lo guardo e anuisco mentre riprendo per la mia strada.
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IL VELENO CHE MI DAI
ChickLit*STORIA PROTETTA DA COPYRIGHT * (In adattamento perdonate per gli errori e la confusione) Helene era una bambina felice fin quando non fu diagnosticato il cancro alla madre che morì qualche mese dopo, tutto ciò portò lei e il padre in un abisso di d...