Chapter nineteen

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Esco dal bagno dell'ampia casa con un sospiro e, schiarendomi la voce, mi avvio verso le scale, percorrendole interamente per arrivare nel salone gravido di gente. Il volume della musica è alto, troppo alto, così come le urla delle persone a me intorno. Si spingono l'un l'altro, bevono senza un limite definito e intrecciano le loro lingue in una danza movimentata e... volgare.

Inarco quindi le sopracciglia e lascio perdere, avviandomi in cucina, nel mentre un centinaio di pensieri si accavallano l'uno dopo l'altro nella mia testa.

Ripenso a tutto ciò che è successo questa sera, o meglio, a tutto ciò che è successo con Jason e avverto una quantità indefinita di farfalle svolazzare nel mio stomaco. Ricordo le sue mani, i suoi baci, le sue parole... Diamine, quelle parole, quella voce... Sono capaci di mandare in frantumi qualsiasi mia sicurezza e di farsi beffa del mio autocontrollo, della mia autorità. E io vorrei saper combatterle, vorrei non cedere ogni volta che mi guarda, ma ci riesco soltanto l'1% delle volte, perché la verità è che davanti a lui mi sento impotente, ma devo comunque riuscire a impormi un limite, nonostante stasera sia accaduto ciò che temevo ma al contempo speravo da tempo.

Scuoto comunque il capo, nel tentativo di sfuggire a tutti questi rumorosi pensieri, e verso dell'acqua in un bicchiere.

Solo quando, però, porto quest'ultimo alla bocca mi rendo conto di star bevendo tutto fuorché acqua. Impreco e sgrano gli occhi.

«Ma che diavolo...» sussurro fra me e me.

Assumo una strana espressione, quasi disgustata, fino a quando, però, la mia gola viene travolta da un bruciore forte e fastidioso, che, però, mi incuriosisce. Schiocco infatti diverse volte la lingua sul palato, gustando appieno il gusto dell'alcolico. Appurando in seguito che, dopo tutta questa serata caotica, una bevanda di questo tipo è l'unica cosa di cui ho bisogno, nonostante non sia proprio di mio gradimento, sollevo nuovamente il bicchiere e bevo.

Deglutendo sorsi abbastanza ingenti, riesco a mandare giù circa due bicchieri i vodka. E sto anche per versarmi il terzo, fino a quando, però, una voce familiare non sopraggiunge al mio fianco.

«Bevi per dimenticare, Charlotte?»

Mi volto nella sua direzione e appuro, con sfortuna, che si tratta di Isabela.

Ha la parte inferiore della schiena posata sul bordo dell'isola della cucina, le braccia incrociate davanti al petto e i capelli setosi che le ricadono lungo le spalle.

La guardo con disprezzo e affermo: «S-» proprio quando, però, sto per rispondere positivamente alla sua domanda, nella mia mente riaffiora un'immagine che la raffigura proprio accanto a Jason, in giardino, mentre fa la gatta morta con lui. Di fatto, le sopracciglia mi si inarcano istantaneamente e un potente fastidio si fa spazio nel mio stomaco.

Uno strano desiderio di provocarla mi assale completamente e mi porta a pronunciare subito dopo:

«Oh, no. Non potrei mai dimenticare una serata come questa...» increspo le labbra in un sorriso e mi accarezzo lievemente il collo, spostando i capelli di lato quanto basta per far intravedere la parte di succhiotto che non ho coperto al meglio poiché vi sarebbe stata la mia chioma scura a nasconderla.

Spero con tutto il mio cuore che la messicana se ne accorga. E così, fortunatamente, accade, poiché lei posa i suoi occhi scuri proprio lì e, non appena realizza cosa sia, li sgrana.

Sorrido.

Lei aggrotta le sopracciglia e deglutisce, assumendo un'espressione infastidita e provata.

«Qualcuno si è divertito.» appura con un finto sorriso. «È stato Adam?» domanda in seguito, pur non essendone completamente convinta.

Io riduco le palpebre a due fessure e rifletto attentamente su cosa rispondere.

(Im)possibleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora