Chapter twenty

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«Papà?»

Le labbra mi di schiudono. Gli occhi si sgranano. Qualsiasi parte di me viene attraversata dallo stupore.

Cosa ci fa mio padre qui?

Improvvisamente migliaia di paranoie prendono forma nella mia testa, iniziando a torturarmi.

È successo qualcosa alla mamma? Devo tornare urgentemente a Santa Rosa? È successo qualcosa a lui?

Inizio a tremare e anche ad avere paura nel momento in cui si alza dalla scrivania e si mostra a me con sicurezza e arroganza.

Indietreggio, fino a scontrarsi con il petto di Jason. Lui mi posa una mano su un fianco e, con sguardo indagatore, osserva mio padre con attenzione.

«Cosa vuoi?» trovo all'improvviso il coraggio di parlare e di rivolgermi a lui con prepotenza.

Mio padre mi squadra con disprezzo e afferma a testa alta: «Ho perso il lavoro, la casa. Dovresti darmi dei soldi, adesso.»

Aggrotto immediatamente le sopracciglia nel momento in cui l'uomo davanti a me pronuncia queste parole. Ciò che più mi stupisce, però, è il fatto che non ha neanche la minima intenzione di scusarsi per quello che ha fatto.

Per questo motivo assumo un'espressione dura in volto e pronuncio con un sopracciglio inarcato: «Io dovrei dare dei soldi a te? Dopo tutto quello che hai fatto?»

Lui rotea gli occhi al cielo e sfila una sigaretta dal suo pacchetto di Marlboro, per poi accendersene una, nonostante le finestre della stanza siano chiuse.

«Non ho voglia di perdere tempo. Dammi questi soldi e basta.» ordina con nonchalance.

Io sgrano gli occhi e, con uno scatto repentino, mi allontano da Jason, avvicinandomi, seppur mantenendo sempre una certa distanza, a mio padre.

«Ma con quale coraggio osi venire qui, nella mia camera, a impartirmi ordini come se non avessi rovinato la vita della mamma?! Con quale coraggio ti presenti come un uomo viscido e senza pudore, senza un briciolo di vergogna, dalla figlia che hai picchiato e rinnegato?!»

La mia voce è alta, il mio tono furioso. Ogni centimetro di me sta iniziando a colmarsi di furia e fastidio, tant'è che serro la mascella talmente forte da avvertire dolore.

Lui inclina il capo di lato e, portandosi la mano al petto in modo teatrale, risponde: «Stai abbandonando il tuo povero papà

«Ah, adesso ricordi di essere mio padre?» Agito le mani in aria, con un sorriso esasperato sul volto e continuo: «Non quando hai iniziato a picchiare la mamma? O me? Non quando tornavi la sera ubriaco e tutto ciò che facevi era incolpare noi due perché il divano non era abbastanza comodo per le tue dannate chiappe?! Non perché un vero padre non lo sei mai stato?!»

Lo squadro dalla testa ai piedi con disgusto e un nodo inizia a formarsi all'altezza della gola nell'esatto momento in cui questi ricordi si susseguono l'uno dopo l'altro nella mia testa.

«Che c'è? La birra qui a Miami costa troppo per gli spiccioli che hai conservato?»

Disgusto. Ecco ciò che provo nel guardarlo, nel realizzare che era quest'uomo colui che pregavo di non andare via dopo ogni lite, o colui da cui speravo di ricevere il bacio della buonanotte ma che, puntualmente, non arrivava mai, o, ancora, colui da cui avrei voluto ricevere, quelle rare volte in cui era sobrio, un "Ti voglio bene.".

Questo, però, non è mai successo. Devo ammettere, tuttavia, che era sempre bravo a recitare quando eravamo con gli altri. Faceva il padre premuroso, si preoccupava per me, se avevo freddo, fame, sonno, ma erano tutte bugie...

(Im)possibleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora