Chapter Thirty-five

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La vita di ognuno di noi è come un pendolo.

Oscilla fra momenti di indissolubile serenità, colmi di spensieratezza, gioia, in cui si prova la tangibile sensazione di riuscire quasi a toccare il cielo. Momenti in cui il cuore pompa centinaia di emozioni al secondo, legate a una strana felicità. Una felicità che è talmente forte quanto rara, che ci spinge ad assaporarne quanta più possibile, rendendoci consapevoli però che, prima o poi, finirà e che si passerà ai momenti successivi. In cui il pendolo oscillerà dalla parte opposta: gli attimi di sofferenza.

Frammenti di tempo strazianti, angosciosi. Quei momenti che conducono a una disperazione asfissiante, capace di far tremare la terra sotto ai piedi. Momenti in grado di far crollare certezze, congetture e qualsiasi forma di pseudo sicurezze acquistate nei frammenti di felicità.

Ci hanno da sempre insegnato questo aspetto della vita, come una medaglia con due facce.

Il bene. Il male.

La gioia. Il dolore.

La positività. La negatività.

Il piacere. La sofferenza.

La vita. La morte.

Ecco, io vorrei aggiungerne un'altra. Una dimensione temporale che risiede proprio nel mezzo di questi attimi. Una realtà inconsistente, astratta, in cui è assente qualsiasi forma concreta.

Ed è proprio questa la dimensione più spaventosa: colei che porta una strana confusione. Centinaia di quesiti si inoltrano nella nostra mente, attivando ingranaggi che rendono impotenti, deboli, inermi dinanzi a tale realtà.

Si è più vicini ad accostarsi agli attimi positivi o a quelli negativi?

Quali saranno i momenti a cui siamo destinati?

Come si consumeranno gli ultimi frammenti di vita rimasti?

Con quale ricordi si spegnerà la nostra vita?

Ed è esattamente ciò che mi sto domandando io in questo momento.

Mi trovo in uno strano limbo temporale, in cui non faccio altro che muovermi con flemmatica discrezione, per evitare di ridurre a brandelli il luogo in cui risiedo per la paura di sparire per sempre.

Non vedo niente di ciò in cui mi trovo. Avverto soltanto il corpo disteso, le membra rilassare. Le palpebre si schiudono ogni tanto, senza però rivelare nulla della dimensione in cui sono stata depositata.

È tutto buio, attorno a me aleggia un'aria leggera. Non riesco neanche a decifrare quanto sia ampia la stanza in cui sono stesa, poiché l'oscurità risulta un ostacolo impraticabile.

Mi accontento perciò di udire soltanto delle voci abbastanza nitide: sembrano di medici. Le loro voci sono preoccupate, persino scoraggiate. Utilizzano una serie di termini tecnici di cui non riesco a capirne il significato.

Aggrotto lievemente le sopracciglia.

Che cosa succede?

Volto il capo a destra e sinistra, come se potessi scorgere qualcosa della realtà che sto ascoltando dalla mia posizione supina, ma non ci riesco. Il buio prevale, rendendomi incapace persino di guardare il mio stesso corpo.

Sembro sola in questa stanza, eppure non ho paura. Il mio cuore non cova alcuna ansia, bensì... confusione. Le domande si ripetono l'una dopo l'altra nella mia mente, private però delle risposte che spettano loro.

Sollevo lievemente il capo, tentando di udire al meglio possibile la discussione dei medici, ma ci riesco a stento, poiché il rumore dei passi che si allontanano sostituisce ogni altra voce.

(Im)possibleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora