Chapter Thirty-seven

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Sono state molte le volte in cui ho udito discorsi, argomentazioni e spiegazioni sulla caducità della vita, su quanto breve possa essere e su quanto sia importante ogni singolo attimo. Mi avevano sempre detto di godere di ogni attimo, persino di quelli tristi e dolorosi, poiché la meraviglia di incontrare nuovamente i frammenti felici e spensierati sarebbe stata di uno splendore unico, quasi raro. Ogni volta che insegnanti, uomini o donne più saggi e con maggiore esperienza di me
occupavano interi minuti a parlarmene, mi limitavo ad annuire e a rispondere in modo non troppo interessato con un semplice "Già, è proprio vero".

Eppure, mai come prima di questo momento ho capito quanto in realtà le loro parole fossero veritiere. Quanto fosse veramente breve e fugace la vita. Quanto potesse cambiare da un momento all'altro, sconvolgere i nostri piani e catapultarci completamente in un'altra dimensione.

Non mi sono mai resa conto di come la vita avesse il potere di sopraffarci e allontanarci da cose, persone, luoghi, semplicemente perché era arrivato "il nostro momento". Un momento che, per quanto le tecnologie e le scienze umane siano ormai avanzate, non può essere preparato.

Non si può tardare o posticipare questo indesiderato appuntamento con la morte, semplicemente è lei che decide come e quando accoglierci fra le sue braccia.

E probabilmente io mi stavo proprio avviando verso di lei- senza neppure aver detto addio a coloro che amavo e che sarebbero stati distrutti dalla mia perdita- fino a quando, però, una voce, una carezza, e il suono di un pianto malinconico e silente provenienti dal ragazzo che mi ha completamente stravolto la vita sono riusciti a far breccia dentro il luogo buio entro cui mi trovavo. La sua voce, profonda e baritonale è stata capace di smuovere qualcosa. Le luci della stanza si sono improvvisamente accese. Il mio corpo è riuscito ad alzarsi. Il suo viso mi è comparso davanti.

Jason mi ha teso la mano e mi ha offerto il suo aiuto, conscio che altrimenti tutto sarebbe crollato.

È riuscito a darmi una seconda vita, a portarmi fuori dal baratro cupo in cui ero sprofondata.

Mi ha sussurrato ciò che non aveva mai avuto il coraggio di dirmi, e io ho capito di non averlo mai amato più che in quel momento.

Perché semplicemente... mi ha salvato la vita, ma non l'ha fatto soltanto in quella stanza d'ospedale, bensì molti mesi prima, quando sono giunta a Miami e ho incrociato i suoi occhi.

Nel momento in cui ho udito la sua voce, ho avvertito il suo tocco sulla mia pelle, ho interiorizzato la sua risata e sono riuscita a entrare nel suo cuore.

È stato in quel preciso istante che la mia vita è cambiata.

Schiudo lievemente le palpebre, seppur con lentezza. Mi sono svegliata dal coma da diverse ore, ma ancora non ho potuto vedere nessuno dei miei amici e neanche mia madre. I medici hanno dovuto ottenere prima degli accertamenti riguardo la memoria, la vista, la capacità intellettiva, motoria e linguistica.

A dir poco estenuante, se devo dire la verità, ma fortunatamente non hanno riscontrato alcun problema.

Lo hanno persino definito un vero miracolo. Eppure non sono propriamente d'accordo con loro, dato l'inferno che ho dovuto subire a causa del dolore lancinante, del terrore e della paura di non risvegliarmi più.

Sospiro, annuendo distrattamente alle parole del dottor Johnson, che mi sta intimando di non sforzarmi troppo in questi giorni, di stare quanto più tempo possibile a riposo e di non stressarmi eccessivamente.

«D'accordo, ho capito. Ora posso ricevere le visite?» la mia voce è impaziente, proprio come quella di una bambina che non gioca da troppo tempo con i suoi giocattoli preferiti.

(Im)possibleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora