SKZ-REPLAY

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Correva sotto il sole caldo d'agosto in mezzo ad un vasto prato pieno di fiori calpestando l'erbetta verde ed umida per via della pioggia che c'era stata la sera prima bagnandosi così tutte le caviglia nude. Portava solo delle ciabatte ai piedi.

Il ricordo lontano della Malesia -- luogo in cui aveva vissuto per più di quattordici anni -- tornò vivido nella sua mente sbloccando così una catena di immagini, suoni e odori che poteva solo e soltanto immaginarsi, ripercorrendoli con la testa. Si perse completamente tra tutti quei ricordi stupendi della sua infanzia, ma uno in particolare lo fece incupire parecchio.

Il ritorno in Corea.

Ebbene, Jisung era un coreano puro, ma la sua intera vita, i suoi ricordi più belli li aveva passati là, in Malesia, dove tutto sembrava un sogno per lui. Ma come mai i suoi problemi iniziarono una volta tornati in Corea del Sud? Beh, la risposta è molto semplice: suo padre. Suo padre l'aveva costretto a tornare nel suo Paese Natale solo per farlo diventare un poliziotto visto che suo fratello maggiore ormai si era laureato in medicina trovando lavoro in Malesia. Jisung avrebbe preferito intraprendere la strada dell'idol, ma aveva deciso che magari fosse meglio di no sapendo quanto fosse dura seguire quella via.

Era sdraiato sul suo letto matrimoniale intanto che viaggiava nell'infinito dei suoi pensieri, fissando intensamente il soffitto come era solito fare durante quei momenti dove si trovava a rimuginare e rimuginare.

Sentiva ancora le urla di sua madre mentre veniva squartata da quegli uomini, prima violentata e poi uccisa. Le grida, la disperazione e il caos del momento avevano segnato Jisung a vita e lo avevano condotto sulla strada della vendetta, della rabbia.

La sua barca dei ricordi venne affondata dall'aprirsi della porta di camera sua che gli fece alzare la testa per vedere chi stesse entrando. La risposta, però, era un po' ovvia: Hyunjin non si faceva vivo da giorni ormai, Felix era sparito come al solito e Minho era l'unico ancora rimasto al suo fianco.

Difatti, in stanza entrò proprio il serial killer che più amava e che gli faceva tornare subito il sorriso appena lo guardava. "Hey, Sungie." Il viola si avvicinò al letto con i lati della bocca incurvati proprio come Jisung che, nel mentre, si stava mettendo seduto sul materasso.
"Hey, Minmin. A cosa devo questa visita?" Scherzò il blu ridacchiando un po' intanto che Minho si sedeva al bordo del letto.
"Volevo stare con te." Disse facendo saltare un battito al poliziotto.

Era sempre così ormai tra quei due: Jisung parlava e Minho rispondeva con qualcosa che alle orecchie del primo risuonavano dolci, carine. Jisung viveva per questo lato del suo hyung, anzi, amava qualsiasi cosa che facesse o che appartenesse a Lee Minho, dalla sua dolcezza alla sua arroganza.

"Come stai, hyung?" Chiese avvicinandoglisi leggermente.
"Sto bene, tu?"
"Anch'io sto... bene, hyung."

Minho incrociò le braccia al petto. Stava venendo colpito dai raggi lunari che provenivano dalla finestra aperta. Intorno a loro regnava l'oscurità, nessuna luce era accesa. "Puoi smetterla di chiamarmi hyung? Non voglio essere un tuo hyung, Jisung."

Il ragazzo fissò le perle scure del suo amato osservarlo attentamente. Quelle parole misero sottosopra il suo povero stomaco. Ghignò incuriosito sulla faccenda decidendo di tenergli corda. "Ah sì? E come vorresti che ti chiamassi?" Provò a provocarlo ottenendo una lieve risata. Minho si sporse in avanti facendo sfiorare il suo naso a punta contro quello di Jisung. "Mi piacerebbe che tu mi chiamassi 'amore'." Rivelò l'assassino lasciando che le labbra di Jisung si schiudessero per lo stupore. Con quale coraggio glielo aveva detto?

𝐕𝐄𝐍𝐎𝐌Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora