"Pensavo di soffrire come un criceto in gabbia. Soffro, invece, perché sono io la gabbia".
Meno di cinque ore.
Meno di cinque ore e rivedrò finalmente il mio fiorellino.
Questo pensiero è stato l'unico a darmi la forza di resistere quattro anni qui dentro. Quattro anni rinchiuso tra le solite mura spoglie, circondato da dottori e psichiatri che non sapevano fare altro che imbottirmi di farmaci inutili.
Lo stai facendo per lei.
Mi ripetevo in continuazione nella testa.
Dovevo stare buono, reprimere la voglia di fare a pezzi tutto di questo posto, mostrarmi favorevole alla terapia e seguire le loro regole senza fare domande. Se non lo avessi fatto, mi avrebbero tenuto lì dentro, oppure mi avrebbero trasferito in chissà quale struttura per pazzi.
Perché credetemi, se le persone qui dentro avessero visto il vero me, non ci avrebbero pensato un secondo di più a ritenermi un pazzo irrecuperabile. Non potevo rischiare di farmi rinchiudere per il resto della mia vita. Non potevo permettere una cosa del genere perché avrebbe significato non rivederla mai più.
Il mio fiorellino...
Continuai a tracciare linee grigie e delicate sul foglio bianco, tenendo saldamente la matita tra le dita. Ripercorsi i tratti del suo angelico viso per l'ennesima una volta, non mi sarei mai stancato di farlo. Le labbra piene, gli occhi azzurri e limpidi come il mare, le guance morbide, il naso, gli zigomi...tutto di lei mi faceva impazzire.
Sospirai per un momento e chiusi gli occhi. Ancora non riuscivo a credere che presto avrei potuto rivederla in carne e ossa, e non solo attraverso i miei ricordi e una matita stemperata.
Meno di cinque ore.
Guardai fuori dalla finestra di fronte a me e notai Colin parlare con lo psichiatra, nonché proprietario dell'istituto. Mi concentrai poi sull'orizzonte dietro di loro, una distesa di prato enorme che non sembrava avere fine. Così mi sentivo io in quel luogo, disperso in mezzo al nulla. Il cielo era di un grigio quasi nero e ciò vuol dire che stava per iniziare a piovere.
Sorrisi, amavo i temporali e li invidiavo a volte. Avrei voluto la capacità di sfogarmi come loro, tirare fuori tutte le lacrime e la distruzione che avevo dentro, anche solo per pochi istanti. Invece mi ritrovavo ad essere intrappolato, schiavo nel mio stesso corpo e della mia mente.
Quando le prime gocce di pioggia cominciarono a bagnare lentamente il vetro, i miei pensieri tornarono a lei. L'ultima volta che l'avevo vista delle gocce simili bagnavano il suo volto, con l'unica differenza che scendevano direttamente dai suoi occhi.
Pensai a mia madre, anche lei aveva le guance rigate dalle lacrime l'ultima volta che l'avevo vista. Ormai è passato tantissimo tempo, eppure lo ricordo come se fosse ieri. Rivivo quel momento ogni maledetto giorno della mia vita.
Mi sono rassegnato ormai da tempo a convivere con il dolore, spesso mi sono chiesto che senso avesse cercare di sopravvivere in un mondo che non aveva più nulla da offrirmi. Un mondo che avevo distrutto intorno a me con le mie stesse mani. Più volte mi sono ritrovato sul punto di rinunciare e lasciarmi andare per sempre al vuoto assoluto, al buio eterno. L'unica ragione per cui mi trovo ancora qui oggi, è lei.
Improvvisamente l'immagine del mio fiorellino e di mia madre mi si presentarono davanti, come una visione in quel cielo impetuoso. Un'illusione dolorosa. Subito dopo quell'apparizione, i loro tratti iniziarono a mischiarsi e la confusione si fece sempre più invadente nella mia mente malata.
Non è colpa tua Dorian, sei sempre stato buono.
Strizzai gli occhi e cominciai a tirare forte le ciocche bionde dei miei capelli, come facevo spesso durante queste crisi. Di nuovo le allucinazioni. Ero completamente cosciente di ciò che mi stava accadendo eppure non avevo alcuna possibilità di fermarlo.
Non è colpa mia...
I sensi si amplificarono, il battito accelerò, la testa sembrò esplodere. Avrei voluto urlare e mettere fine a quello strazio che ero costretto a sopportare, ma l'unica cosa che fossi in grado di fare era quella di lacerarmi la pelle con le unghie, nella speranza che il dolore fisico superasse quello della mia anima condannata.
Quando sentii dei forti colpi sulla porta cercai di fare respiri profondi, e di riprendermi per non farmi vedere in quello stato. Non oggi, maledizione.
Non sentendo alcuna risposta da parte mia, la porta venne spalancata senza troppi complimenti e intravidi un camice bianco riflesso sulla finestra.
«Tuo padre ha firmato le dimissioni, Dorian. Sei libero di andartene».
Nel sentire quelle parole smisi lentamente di torturami i capelli e le braccia, nonostante il mio corpo fosse ancora scosso dai tremori. Tirai la testa indietro, abbassai nuovamente gli occhi sul ritratto che avevo realizzato, e non riuscii a trattenere una risata.
Meno di cinque ore. Sto tornando da te fiorellino.
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Do you remember Dorian?
RomanceEro molto piccola quando conobbi Dorian Walker. Si trattava di un bambino timido e riservato, ma io fui l'unica che riuscii a farsi spazio nel suo cuore. Con il passare degli anni però, capii che Dorian non era solo un semplice bambino timido come t...