Capitolo 2

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ISABEL


È passato qualche giorno. È sabato e questa mattina sono stata a scuola. Non mi piace andare a scuola di sabato, ma ormai dopo tre anni ci ho fatto l'abitudine.

Sto facendo il conto alla rovescia. Mancano due settimane alle vacanze di Natale e non posso fare a meno di pensare a Trevor. Lui è da solo e sicuramente passerà le feste in solitudine e magari non avrà nemmeno nulla da mangiare o un regalo da scartare.

Io già so qual è il mio regalo. I miei mi hanno lasciato la loro carta di credito e hanno detto che potevo ordinarmi quello che volevo. Ho scelto un paio di scarpe che desideravo da parecchio, ma non è bello come quando scartavo il regalo della nonna la mattina di Natale.

Ogni anno mi faceva un regalo personalizzato. Mi regalava delle felpe e poi ci cuciva una dedica all'interno, oppure faceva la stessa cosa con un cappellino o una sciarpa. Erano i regali più belli del mondo e a me mancano da morire. Era buffo perché la maggior parte delle volte sbagliava la taglia, oppure li comprava nel reparto sbagliato e mi regalava qualcosa da uomo, ma non era il regalo in sé a essere speciale. Era bello perché lei per un giorno chiudeva la libreria per dedicarsi completamente alla ricerca del mio regalo, per poi chiudersi in casa a cucire la dedica. Lei dedicava un'intera giornata a me, mentre i miei genitori mi dedicano quei cinque secondi per dirmi: "ecco la carta. Comprati il regalo che vuoi senza badare a spese". Non mi dedicano attenzioni e non lo facevano nemmeno quando ero più piccola. Hanno sempre altre cose più importanti da fare e io non rientro nelle loro priorità.

Sono tornata a casa da circa tre ore. Prendo il telefono e trovo un messaggio della mia migliore amica.

C: Oggi pomeriggio usciamo? Aperitivo?

I: Scusami, ma oggi proprio non posso. Ci vediamo lunedì a scuola

Non mi piace mentirle, ma so che se le dicessi che ho assolutamente bisogno di vedere un senzatetto che ho conosciuto per sapere se sta bene impazzirebbe. Non posso biasimarla, ma non posso nemmeno fregarmene e continuare a vivere la mia vita come se nulla fosse.

Prendo uno zaino e ci metto dentro tutto ciò di cui potrebbe aver bisogno, poi mi preparo.

Quando raggiungo la porta per andare via vedo una valigia.

"Ciao, Isabel" mi dice mio padre. "Mi hanno chiamato proprio ora. Devo andare ad una presentazione importante e tornerò lunedì".

"Ok" rispondo semplicemente.

Non me ne importa assolutamente niente. Non sono nemmeno curiosa di sapere quale sia stato questa volta il motivo del loro litigio. Da loro ho imparato una cosa e la odio. Ho imparato a scappare. Non li ho mai visti sedersi intorno a un tavolo per discutere e per trovare una soluzione tra di loro. Quando litigano si limitano a scappare per aspettare che le acque si calmino un po', ma poi ritornano all'attacco. È sempre stato così: litigio, fuga, ritorno e poi si ricomincia. Le uniche cose che cambiano sono i motivi dei litigi e le città dove "va" mio padre.

"Ti prometto che ti porterò un regalo" mi dice, lasciandomi un bacio sulla fronte prima di andare via.

Sì, come no. Il regalo.

Non ho mai accennato nulla al fatto che so la verità. Se loro sono contenti così, a me va bene. Tanto non servirebbe a nulla dire che so tutto da anni.

Quando la porta di casa si chiude, vedo mia madre uscire dalla camera da letto. Ha gli occhi lucidi.

"Esci?" mi chiede.

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