27.

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Khvicha.

«Ciao Khvicha, come stai?»
È davvero lei, non riesco a credere ai miei occhi. È così bella e il suo profumo di ciliegia e vaniglia non è cambiato minimamente. Mi viene voglia di stringerla forte a me ma non posso farlo. La osservo ed è molto rigida, forse non le fa piacere quanto a me rivederci.
«Io bene, tu?»
«Bene.»
«Me lo dicevi che venivi allo stadio, ti avrei fatta entrare io» le dico e sono sincero, mi avrebbe fatto piacere.
«Non è un'approfittatrice» risponde suo fratello e lei lo guarda male per un attimo.
«Io non sapevo nemmeno che tu giocassi qui, Khvicha, ero rimasta che stavi ancora a Napoli. Non seguo il calcio, ha organizzato tutto mio fratello» spiega indicandolo. Io le credo perché l'espressione che ha fatto quando mi ha visto era reale, la conosco bene e soprattutto ora so riconoscere chi è sincero da chi finge.
«Per quanto restate?» chiedo e Roberto la guarda. Lei si schiarisce la voce e risponde.
«Domani andiamo via, abbiamo il volo alle diciotto» dice e la prima cosa che penso è di approfittare di quelle ore per stare con lei. Non posso lasciarla andare via senza averle parlato.
«Siete stati qui solo due giorni?»
«Una settimana» risponde lei «domani dobbiamo proprio tornare a Napoli» conclude.
«Certo, lo capisco. Stasera siete liberi? Posso offrirvi una cena?»
«No, grazie sei gentile ma dobbiamo andare» dice di getto e vedo il terrore nei suoi occhi. Le ho fatto proprio male per reagire così.
«Per favore, dammi modo di scusarmi» le sfioro un braccio con la mano e lei si ritrae.
«Khvicha, davvero, non ce n'è bisogno. Lascia stare» guarda il fratello e parla con lui «fatti queste foto e andiamocene» gli dice ma io non demordo. Faccio un passo verso di lei e le prendo una mano.
«Solo una cena, non ti chiedo altro. Poi da domani sconosciuti come prima» insisto e lei sospira. Guarda il fratello che alza le spalle e poi annuisce.
«Va bene» dice e il fratello trova subito una scusa per non unirsi a noi, meglio così.
La lascio per qualche minuto perché devo scattare delle foto con i tifosi ma da lontano non faccio che guardare lei. È così bella nel suo maglione bianco a collo alto chiusa nel cappotto color panna e gli stivali che le arrivano alle ginocchia. Mi guarda anche lei ma non so leggere cosa i suoi occhi vogliono dirmi. Quegli occhi li ho sognati così tante volte che ora ritrovarmeli di fronte mi sembra irreale.
Finisco con le foto e corro da lei, il fratello se ne è appena andato e lei mi sta aspettando. Mi portano la mia Mercedes e saliamo dentro. All'inizio c'è un silenzio imbarazzante che tra di noi non c'è mai stato nemmeno all'inizio e mi fa malissimo. Ho rovinato tutto, ho rovinato la cosa più bella che la vita mi ha messo davanti e me ne sono reso conto troppo tardi.
Arriviamo al ristorante e anche se non ho prenotato un posto per me lo trovano sempre. Ci fanno accomodare e siamo finalmente occhi negli occhi.
«Ok, inizio» dico e lei abbassa lo sguardo per un attimo. «Ho sbagliato tutto con te, tutto. Non ho capito che quello che c'era tra di noi era il sentimento più puro che potesse esistere, non ho capito che tu mi volevi davvero bene, non ho capito che bastava parlarne per chiarire tutto e ho sbagliato. Ho sbagliato a fare tutto quello che ho fatto, ad insultarti, a tramare alle tue spalle, a tradirti e allontanarti. Ho sbagliato tutto e Gin...» allungo una mano sul tavolo fino ad arrivare ad una sua e stringerla nella mia. «Se potessi tornare indietro non lo farei più, mai. Mi sei mancata tanto e mi manchi ancora oggi. Di Napoli mi manca tutto, lo stadio, gli amici, il cibo, il mare ma più di tutto di quell'esperienza mi manchi tu. Tu che se non fossi stato uno stupido ora saresti potuta essere qui al mio fianco in questa mia nuova vita. Ho sbagliato tutto e non posso far altro che chiederti scusa.»
Più parlo più i suoi occhi si fanno scuri ed impenetrabili, stringe i denti e mi fissa senza battere ciglio. Mi odia ed ha ragione.
«È tardi» dice e sento il mio cuore creparsi dopo un attimo.
«Lo so ma dovevo farlo lo stesso. Non sai da quanto tempo ci sto pensando, solo che mi sembrava stupido farlo tramite messaggi con tutti questi chilometri che ci dividono. Ora siamo qui, occhi negli occhi e devo farlo o non mi perdonerò mai. So che tu ci hai sofferto tanto e mi dispiace, davvero» concludo e lei annuisce.
«Mi hai letteralmente distrutto la vita, non so se te ne rendi conto.»
«Con le tue amiche non ci hai più chiarito?»
«Non voglio avere niente a che fare con chi tradisce un'amicizia che durava da una vita» dice lapidaria, spostando lo sguardo alla sua destra guardando nel nulla.
«Mi dispiace» ripeto e nel frattempo arriva il cameriere ad ordinare.
«Va bene.»
«Mi potrai mai perdonare?»
«Non lo so, Khvicha. Io so solo che sono riuscita ad andare avanti e ora rivederti per me è pericoloso, perché tu non sai in che vortice di dolore ero caduta io dopo tutto quello che era successo» spiega e il dolore è chiaro nelle sue parole, nella sua voce e nei suoi occhi.
«Lo so, ti chiedo ancora scusa» ripeto per l'ennesima volta e lei annuisce.
«Possiamo parlare d'altro? Accetto le tue scuse e non vorrei parlarne più. Ti dispiace?»
«No, va bene, certo. Cosa fai ora a Napoli?»
«Mi sono laureata e dirigo una scuola materna internazionale. Sono molto felice di come si sta evolvendo la mia vita, sono tranquilla» dice e sembra rasserenarsi.
«Sono orgoglioso di te, anche se non c'entro niente, ma sono davvero orgoglioso di come hai preso in mano la tua vita.»
«Grazie. E tu? Da quando hai esaudito il tuo sogno?» guarda lo stemma del Real che ho cucito in petto sulla tuta di rappresentanza e aspetta la mia risposta.
Quindi è vero che non sa niente di come è andata la mia carriera? Non mi ha nemmeno mai cercato su Google per curiosità? Non mi ha mai cercato su Instagram, davvero?
«Ho firmato questo luglio. Sto davvero bene qui, è proprio come me lo aspettavo.»
«Mi fa piacere, te lo meriti. E la città? Che posti frequenti? Ti piace?»
«Grazie. Sì, è bellissima e per fortuna ho un compagno di squadra che mi porta in giro per ristoranti e locali, grazie a lui sto conoscendo meglio tutto quello che c'è» spiego e arrivano le portate. Mangiamo e nel frattempo chiacchieriamo, ci raccontiamo questi due anni in cui non ci siamo sentiti. Io però, sto già pensando a dopo. So che è da pazzi, so che non dovrei neanche pensarci ma io voglio fare l'amore con lei un'altra volta. E spero davvero che lei me lo conceda perché non posso pensare di averla rincontrata e di non averci potuto fare l'amore, non me lo perdonerei mai.
Passano le ore e ormai la cena è terminata, siamo vicino la mia auto e lei insiste per chiamarsi un taxi mentre io voglio darle un passaggio.
«Gin, per favore.»
«Chiamo un taxi, non ti preoccupare» insiste.
«Sali in auto, non ti lascio andare col taxi.»
«No, tranquillo» scuote la testa e abbassa gli occhi sul cellulare. Io mi avvicino e le alzo la testa mettendole due dita sotto al mento mettendola con gli occhi nei miei.
«Vieni da me. Prendiamoci questa notte per noi» faccio ancora un passo verso di lei e appoggio la mia testa alla sua. «So che lo vuoi anche tu, vieni da me e amiamoci un'ultima volta» ripeto e lei, sorprendendomi, annuisce.
«Per l'ultima volta» sussurra e io annuisco per poi baciarla. La bacio lì, mentre è appoggiata alla fiancata della mia auto e io appoggiato a lei. Le sue labbra hanno sempre lo stesso sapore, sapore che mi era mancato da morire e che vorrei non dover lasciare più. Mi stacco a fatica e solo perché so che potrò continuare a baciare quelle labbra a breve.
Sale in auto e guido fino a casa mia. Nel silenzio più totale prendiamo l'ascensore e saliamo all'ultimo piano, apro la porta ed entriamo. C'è un attimo di silenzio che lei spezza lanciandosi sulle mie labbra. Quanto cazzo mi era mancata. Ci baciamo e lei si aggrappa al mio busto allacciando le caviglie dietro alla mia schiena. Io vado dritto verso la mia camera da letto e la appoggio con la schiena sul materasso. È buio, buio totale ma io voglio guardarla, voglio godermi lo spettacolo. Accendo la luce sul mio comodino e la fisso. Ha il respiro pesante e aspetta le mie mosse. Mi abbasso su di lei e torno a baciarla mentre lentamente le sfilo i vestiti.
Le tolgo tutto mentre i miei occhi sono fissi sul suo corpo. È più magra di qualche anno fa, ma questo non la rende meno bella ai miei occhi.
La spoglio lasciandole solo lo slip in cotone bianco a contrasto con la sua pelle ancora leggermente abbronzata da chissà quale vacanza al mare. E quello slip così semplice mi fa sorridere, non era preparata a questa notte e così mi piace ancora di più.
Mi abbasso su di lei e inizio a cospargere il suo corpo di baci. La sfioro, passo le mie dita in ogni porzione della sua pelle liscia. Rabbrividisco quando sento la sua pelle accapponarsi e torno a baciarla.
Spoglio anche me mentre lei mi guarda senza dire nulla. Poi però quando mi vede completamente nudo sospira e si morde le labbra: mi vuole, mi desidera almeno quanto io desidero lei e non vedo l'ora di accontentarla.
Scendo con i baci fino al centro del suo seno, seguendo il percorso che porta all'ombelico e poi sempre più giù. Quando raggiungo il monte di venere e le lascio un bacio le sue mani si aggrovigliano nei miei capelli, come amava fare quando stavamo insieme. Me li accarezza, se li attorciglia tra le dita. Mi fa perdere il lume della ragione così risalgo e torno a baciarle le labbra. Ci baciamo con così tanta passione che rischiamo di bruciarci ma niente ci appaga. Ne vogliamo sempre di più, sempre di più. Le sfilo le mutandine e le appoggio la mia erezione tra le gambe. È bagnata e calda, pronta ad accogliermi. Vado sue giù restando fuori e la sento mugolare. Basta, non ce la faccio più, devo sentirla venire per me. Sto per entrarle dentro quando le sento dire qualcosa e spalanco gli occhi.
«Metti il preservativo?»
Il preservativo? Perché me lo chiede? Noi non l'abbiamo mai usato il preservativo...
«Khvicha...» chiama il mio nome e io la assecondo. Ne prendo uno e me lo infilo tornando su di lei. In questo momento non voglio farmi troppo problemi e voglio fare l'amore con lei godendomi ogni istante.
Le entro dentro e mi sembra di ritornare nel passato. Mi sembra di tornare alla nostra prima notte insieme, a quel desiderio che ci consumava, alla voglia che avevamo di amarci e di non pensare a nient'altro.
Inizia ad ansimare, io vado più a fondo. Vado lento, mi godo ogni movimento e ogni reazione del suo corpo. Cerco i suoi occhi ma li ha chiusi mentre si contorce dal piacere.
«Guardami» appoggio la mia fronte alla sua e lei li apre. Respiriamo i respiri l'uno dell'altra, i nostri occhi si inchiodano insieme, vado più veloce aumento il ritmo. Ho i brividi, non l'ho mai fatto così, lo giuro. Lei inizia a fare dei versi e a stringermi forte le braccia tra le mani. Mi stringe, mi conficca le unghie nella pelle, spalanca la bocca e inarca la schiena. Io la guardo, è uno splendore. Poi le sue mani passano tra i miei capelli e allora capisco che sta per arrivare.
Affondo più in profondità dentro di lei, mi abbasso sui suoi seni e glieli bacio, poi passo alla bocca.
«Khvicha... Khvicha...» mormora con un filo di voce. Eccola, sta arrivando per me.
Scivolo con una mano tra le sue gambe e le stimolo il clitoride così da darle ancora più piacere e dopo pochi secondi la sento tremare come una foglia. Trattiene il respiro per poi scoppiare in un mugolio liberatorio e sento le sue pulsazioni intorno alla mia erezione dentro di lei.
Mi fa impazzire, oggi più di ieri.
Ora tocca a me ma sono già sulla buona strada. Entro ed esco da lei ancora qualche volta, poi lei mi prende il viso e mi bacia, mi bacia con così tanta passione che smetto di respirare. Ci sono. Eccomi, sto per avere l'orgasmo più profondo e cercato della mia vita.
«Ti amo Gin, ti amo» le dico in preda al piacere.
Con lei, solo e solamente con lei.
Crollo sopraffatto dal piacere e mi appoggio al suo petto mentre lei mi accarezza i capelli. Mi lascia un bacio sulla fronte e mi dà la buonanotte.

Io non lo so come abbia fatto questa ragazza in cinque mesi a prendersi il mio cuore ma è così, lei l'ha preso e non c'è modo che me lo restituisca. È suo e sarà per sempre così.

Ma purtroppo la notte passa e la mattina dopo, quando sono da poco passate le sette, la vedo che si riveste e mi tiro leggermente su guardandola.
«Facciamo colazione?» le domando e lei scuote la testa.
«Ho le ultime cose da fare qui con mio fratello che poi stasera andiamo via. Devo andare» ha gli occhi lucidi mentre me lo dice, non sta piangendo ma secondo me lo ha fatto da poco.
«Neanche il tempo di fare colazione?»
«Khvicha, voglio essere chiara con te. Io come te ho desiderato tanto questa notte, ho desiderato tanto fare l'amore con te per l'ultima volta però deve finire qui. Non voglio che mi cerchi, che mi fermi o che mi chiedi di restare. Se mi vuoi bene come dici, per favore, fa che questo sia il nostro addio.»
Addio. Vuole davvero che questo sia il nostro addio.
«Non so se riesco. Dimmi come faccio a dirti addio dopo questa notte...»
«Me lo devi giurare. Io ti auguro davvero di brillare, di prenderti tutto quello che il tuo cuore desidera, di diventare quello che hai sempre sognato di essere. Te lo meriti, nessuno lo merita più di te ma Khvicha ti prego, lasciami stare. Io voglio vivere la mia vita in tranquillità a Napoli. Ti guarderò da lontano e sarò sempre orgogliosa di te. Tu se puoi, ricordati di me se sarò stata importante per te e vai avanti» ora sta per piangere e anche io sono sull'orlo di un pianto liberatorio.
Io non voglio perderla.
«Come faccio a farti andare via?»
«Ce la farai, anzi, ce la faremo» mi sorride e io annuisco anche se non ne sono per niente convinto.
«Ora devo andare, il taxi è quasi qui giù» si alza e mi prende alla sprovvista.
«Non posso nemmeno accompagnarti?»
«No, Khvicha. Il nostro addio è qui, adesso. Buona vita e splendi più che puoi» mi dice. Mi alzo dal letto e la raggiungo abbracciandola.
«Buona vita a te e sappi che ti amo e mi dispiace per tutto, ok?»
«Sì, va bene. Ora devo andare» mi saluta e va verso la porta. Sull'uscio ci diamo un ultimo bacio e poi sparisce nell'ascensore.

È finita e stavolta per davvero.

Fidati di me | Khvicha KvaratskheliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora