41. Codardia

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Florencia

Apro gli occhi di scatto e sospiro: sono ancora viva.

Il senso di colpa mi sta uccidendo, è stata colpa mia se quel tizio si è introdotto nella mia stanza.

Una gravissima violazione della mia privacy: nessuno può fare una cosa del genere!

Negli ultimi tempi ho abbassato la guardia e la cosa non mi piace, non mi sta bene, io non mi sto bene, sono diventata più debole, meno attenta, e...

...perché è successo?

Prima la diatriba con mia madre, adesso uomini che s'introducono a tradimento nella mia vita... non capisco, non capisco, proprio no.

Mi sento sporca.

Mi sento sbagliata.

Stringo a me il cuscino cercando di ritrovare una minuscola traccia dell'odore di Jordan, senza esito, ovviamente.

Cosa credo di fare? Questo guanciale è stato lavato!

Mi manca. Tanto. Nemmeno fosse l'aria che respiro, accidenti.

Scendo dal letto, infilo le ballerine di spugna ed esco dalla stanza facendo attenzione: Martin è al telefono, non voglio che mi veda.

Per lui sono diventata un fantasma. Sgattaiolo via sempre quando lui non mi vede, sono molto accurata in questo.

Non voglio che mi faccia delle domande, mi vergogno troppo a fargli sapere, a fargli vedere quanto sono diventata fragile.

E tutto perché?

Non lo so.

O forse sì: Jordan.

Non è colpa sua, o forse sì, perché esiste.

O forse no: la colpa è solo mia.

Ma certo. È colpa mia, mia, mia che sono così strana, assurda... assurda, sì, perché lo sono.

Odio questa vita, un pacco vuoto nel quale mi hanno ficcata a forza, una gabbia dorata, un palco sul quale devo improvvisare di continuo per essere accettata, per non fare nulla che non stia bene a mia madre, nulla che possa nuocere alla sua immagine.

E alla mia?

A me chi ci pensa?

Ho un sussulto e le mie unghie graffiano lo stipite della porta mentre una lacrima si getta suicida ai miei piedi, distruggendo se stessa proprio come vorrei fare io in questo momento.

Basta, devo andarmene.

Attraverso la soglia della stanza in silenzio, mi dirigo verso la porta d'ingresso e l'apro stando attenta a non fare rumore.

Dovrebbe far freddo ma non sento nulla di che, sarà l'adrenalina, non ne ho idea ma inizio a camminare verso il bosco.

Mancano solo cinque giorni prima che possa vedere di nuovo Jordan.

Chissà lui come sta.

Nella mia mente prende consistenza l'azzurro dei suoi occhi, quel cielo limpido che mi fa sentire libera come non lo sono mai stata.

E all'improvviso capisco.

Con lui posso tutto.

Posso essere libera, posso mostrargli la mia personalità: lui è come me, mi capisce, mi accetta, lui è atipico ed è per questo che ho bisogno di lui, di averlo sempre vicino.

Siamo simili nella nostra diversità, forse era proprio questo che cercavo nel mondo, il motivo per il quale non sono mai riuscita a farmi piacere nessuno. Erano sempre tutti uguali, prestampati come i cartonati che pubblicizzano un film. Belli e falsi.

La nebulosa del granchioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora