II - Uguali

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Luce

Quello che avvenne dopo lo capii poco e ne avevo dei ricordi sbiaditi. Le ragazze sparirono. Al loro posto Ettore camminava a passo spedito verso il nostro palazzo. E mi faceva paura. Si assicurava che lo seguissi per tenermi d'occhio, tirandomi per il gomito. Non riuscivo a smettere di piangere e il senso di nausea non si era attenuato.

«Non farti male, Ettore, non farti male! Non hai chiamato nessuno che...»

«Sta' zitta, adesso!» mi urlò addosso, senza guardarmi neanche. Ingoiai il groppo che avevo in gola. Poi, una moto entrò con un rombo glaciale nella staccionata bianca. Il ragazzo che la guidava era vestito completamente di nero. Si avvicinò a noi con un colpo di acceleratore che mi fece sobbalzare. Alzò la visiera del casco scuro. Un paio di occhi verdi scintillarono come gemme preziose.

«Sei tu Ettore De Angelis?»
Mio fratello annuì con un cenno.
Il ragazzo mi lanciò un'occhiata e, nonostante non fossi cosciente, avrei potuto notare anche lontano un chilometro il modo stranito in cui mi osservò da capo a piedi. Però non lo fece in maniera dispregiativa, come gli altri. Sembrava solo... curioso.

«Poso la moto e arrivo»
Con una sgommata, sparì dalla nostra vista. Ma fu di parola. Poche manciate di minuti dopo, stavamo camminando nel corridoio dove la folla si era raddoppiata.
Tutti urlavano un nome che non distinguevo. La mia capacità di tradurre era scesa sotto lo zero e mi pulsavano le tempie.

Ci facemmo spazio tra la folla, sgomitando. Qualcuno mi diede anche un colpo sul fianco. Avrei voluto staccare la testa a chiunque. Riuscimmo ad arrivare davanti a tutto.
Ma forse era meglio non farlo.
Diego aveva il viso storpiato dal sangue. I capelli erano sparati in tutte le direzioni, le mani colavano sangue rosso come il fuoco. La camicia era strappata, i pantaloni macchiati di polvere. Sembrava un fantoccio, privo di coscienza. Solo gli occhi erano appena aperti. Lo vidi. Mi vide. E il mio cuore esplose di un dolore lancinante.

Cominciai a singhiozzare più forte. Le mie urla riempirono l'abitacolo. Mi voltai. Alla mia destra, c'era il ragazzo della moto, ancora col casco sul volto. Lo afferrai per la maglietta nera. Colto di sorpresa, si lasciò trascinare verso di me. Caddi di nuovo in quegli occhi verde come un pino.

«Fa qualcosa! Sbrigati! È mio fratello» gli urlai in pieno viso. Lui sembrò sorpreso. Ma non dalla mia esagerazione. Una scintilla gli attraversò gli occhi. Prima ancora che potessi sbattere le palpebre, il ragazzo della moto aveva afferrato quell'energumeno per il colletto della camicia e lo aveva alzato. I suoi piedi sfioravano appena il pavimento e il volto grosso stava diventando viola.

«Allora, abbiamo finito di fare il cazzo che ci pare qua dentro?» ringhiò. La folla si zittì. Quello si dimenò e provò a colpire il ragazzo, ma quest'ultimo lo spinse contro il muro. La sua testa cozzò col muro, che si crepò sotto la botta.
Mi tremarono anche le viscere. Non sentivo più le gambe.

«S-Scusa Adriel, i-io... non pensavo che gli i-italiani fossero t-tuoi... ami... amici»

Smisi di ascoltarli e mi fiondai su Diego. Gli afferrai la testa e me la portai sulle ginocchia. Le mie lacrime gli bagnavano la faccia, mentre lo accarezzavo.

«Stai tranquillo, tranquillo... adesso risolviamo. Ti portiamo in infermeria» provai a rassicurarlo, mentre la voce mi tremava. Diego mi prese la mano e me la strinse forte. Poi chiuse gli occhi. Come se si sentisse al sicuro.

Ettore saettò lo sguardo su noi.

«Sei stato un coglione! Cos'hai in testa? Il sale?» cominciò ad urlare contro di lui, anche se ormai era svenuto.
«Smettila!» urlai contro Ettore, «era il bracciale della mamma...» urlai ancora, prima di esplodere in un singhiozzo che mi scosse le membra.
Allora Ettore si zittì. Il ragazzo con ancora il casco nero, si voltò verso di noi. Con un gesto secco fece cadere l'energumeno per terra.

CUPID IS A LIAR Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora