XIV - Non doveva finire così

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Adriel

«Non avreste dovuto chiamarlo così alla svelta. Non gli fa bene, a quel ragazzo»

«Nonna, smettila. Mi dici che cazzo sta succedendo? O devo scoprirlo da solo e far succedere il devasto? Giuro che lo rado al suolo 'sto cazzo di posto»

«Ecco! Capite perché non doveva sapere niente? Giusto cielo, solo Dio sa quanto mi tremino le gambe quando Adriel si agita in questo modo. Se sua madre lo vedesse...»

«Porca puttana»

Il mio pugno chiuso si schiantò violento contro il tavolo di legno. Si incrinò. Una spina mi entrò nella mano.

«Basta con questa storia. Basta con queste stronzate. Volete dirmi che cazzo succede qua?»

«Hanno accettato la proposta di costruire il nuovo centro commerciale»

«Hanna non puoi dire le cose a metà. Qui? Vogliono aprirlo qui?»

Hanna distolse lo sguardo.

Sferrai un altro pugno contro la finestra di vetro. Si scheggiò e delle crepe circoscrissero il punto di collisione con la mia pelle. Sentii il sangue caldo scorrere sulle nocche.

«Adriel, smettila! Finirai per distruggere tutta la casa di tua nonna!»

«Sienna se non chiudi quella cazzo di bocca, dimenticherò che tu sia una ragazza»

Indietreggiò, ma la vedevo sfocata. Vedevo tutto sfocato. Scie luminose e scure mi appannavano la vista.

Le orecchie sottovuoto.

«Ti proibisco di parlare così a mia figlia!»

«Mamma, lascialo stare... sta male, non vedi?»

«Lasciate stare mio nipote. Non è un pollo da esperimento»

«Se non avesse avuto quella madre snaturata...»

All'improvviso divenne tutto rosso.

*

Luce

«Ieri ho visto Calloway uscire dalla nostra stanza. È stato qui? Perché? Ha toccato qualcosa?»

Sbuffai, alzando la maschera in tessuto che tenevo sugli
occhi. Osservai Dakota sulla soglia della porta. Lo sguardo sconvolto, i capelli raccolti in una coda bassa sul collo e dei guanti in lattice sporchi di qualcosa di ignoto.

«Tempest, vacci piano con le domande. Se anche fosse? Non sono affari tuoi»

Lai incrociò le braccia al petto. Negli occhi, una rabbia furente. Avanzò verso il letto su cui ero distesa in pochi passi, ma decisi. Quando mi fu vicina, alzai il busto e mi appoggiai con la schiena al muro. Dovevo ancora abituarmi a quel letto così piccolo.

«Dio, sei davvero una stupida ragazzina viziata»
Strinsi la mascella e le lanciai un'occhiataccia.
«Non ti ho mai dato tutte queste libertà» la fissai con diffidenza.

Lei aprì le braccia teatralmente.
«Tu non capisci perché non lo conosci. Non sai niente di lui. Altrimenti gli staresti alla larga»

«Perché, tu credi di conoscerlo? Credi di sapere qualcosa in più su di lui, di me?»

Mi alzai dal letto. Mi ritrovai di fronte a lei. Era molto alta e slanciata. Sarebbe stata una modella, se non avesse avuto tutti quei pori.

«Luce, tu non sai cosa significa vivere in una piccola cittadina come la nostra. Ci conosciamo da quando nasciamo. I nostri genitori si conoscono, i nostri nonni si conoscevano. Siamo sempre gli stessi. Cresciamo insieme e tutti sanno le cose di tutti»

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