XVII - Empatia

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Luce

Se esiste un Dio, deve volermi davvero male.

Non riuscivo neanche a ballare. I miei piedi parevano impastati al pavimento. Riuscivo solo ad ondeggiare le anche, neanche esageratamente a ritmo. Avevo fatto danza classica per anni, ma non ero mai stata in una discoteca.

«Luce! Credevo che non venissi. Hai fatto tardi»

Fortunatamente Diego riuscì a portarmi via dalla pista da ballo centrale. Mi tirò verso il tavolo dei drink e mi versò un bicchiere colmo di un liquido rosato, ficcandomelo tra le mani. Scossi la testa velocemente.

«Bevila tu, questa roba»

Borbottai, rimettendogli il bicchiere tra le mani. Lui lo afferrò con quei suoi guanti da apicoltore e sollevai gli occhi al cielo, sospirando.

«Che c'è?»

«Ti devi sempre far riconoscere!»

«Mi sono accorto che la vita, fuori dalla nostra palla di cristallo, non è tanto male»

Alzai gli occhi su di lui in uno scatto felino. Dalla sua espressione terrorizzata e dal suo indietreggiare di qualche passo, capii che aveva paura gli tirassi il contenitore di cannucce di plastica sulla testa. Invece, ero solo sorpresa. Distesi la mia espressione, lentamente. Anche Diego si tranquillizzò, spostò i ciuffi castani dall'altro lato del viso. Di solito li portava immobilizzati da quintali di gel, in un taglio corto e ordinato. Mi morsi le labbra, tamburellando le dita sul bicchiere.

«Stai andando al club del libro, quindi»

«Mh-mh»

«E immagino che Dakota Tempest non c'entri nulla, giusto?»

Diego si soffocò con il drink. Tossicchiò un paio di volte, portandosi un pugno al petto. Mi ripulii la spalla, su cui erano finite tracce di alcol e saliva.

«Cosa te lo fa pensare?» sbottò, appena riuscì a far andar via il viola dalle guance. Roteò gli occhi scuri altrove, evitando il mio sguardo inquisitorio.

«Noi siamo gemelli, Diego. Tu mi dici sempre tutto»

«Sì, ma...»

«Non c'è alcun ma!» scattai sul posto, alzando appena la voce in uno squittio. Diego mi fissò, a metà tra il mortificato e il sorpreso.

«Noi siamo gemelli, Diego. Noi siamo fratelli» sottolineai, come se quella fosse la risposta a tutto. Il fulcro centrale della nostra esistenza, la sua stessa essenza e al contempo, colonna portante.

Mi fissò, alzando le sopracciglia. Affogò le pupille castane nel suo bicchiere, trovandolo più interessante di me.

«Questo non significa che non siamo più due persone distinte e separate»

Lo disse come un mormorio sottovoce.
Mi arrivò come un pugno nel petto. Lo stomaco mi scese tra le gambe, pesante come una zavorra, mi tirò con sè, facendomi ripiegare la schiena, ricurva. Sentii i suoi occhi addosso.

«Sono cambiato, ultimamente. Mi sento... diverso»

«Già»

«Piantala di fare così»

«Non sto facendo niente»

«Invece sì. Hai messo su quel tuo muso lungo. Da vera bambina viziata. È questo posto, Luce. Ti ci devi adeguare, se vuoi viverci»

«Lo so, è per questo che lo odio»

Io non sarei mai cambiata. Lo avevo giurato.

*

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