XXXI - Primo appuntamento

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Adriel

Le cose, nella mia vita, non prendevano una buona piega da quando mio padre era morto, da quando ero stato trasferito da Londra al Texas, da quando mia madre era finita in carcere e avevo iniziato a rubare auto per vivere.

Era strano, ma per la prima volta, mi sentivo rinato.

Assaporavo sulla lingua il sapore metallico dell'idillio, non riuscivo a degustarlo completamente, ma sentivo che fossi lì lì per acciuffarlo.

Prendevo i farmaci tre volte al giorno, le vitamine per compensare, dormivo tanto perché mi causavano sonno. Non facevo risse da settimane. Non bevevo, non mi incazzavo.

Ero appena uscito dallo studio del dottor Henry, con la sensazione che qualcosa dentro di me stesse finalmente cambiando. Avevo iniziato la terapia perché volevo essere diverso, migliore. Non per gli altri, ma per me stesso.

O forse non del tutto. Era stata Luce a darmi la spinta finale, anche se non l'avrei mai ammesso nemmeno a me stesso. C'era qualcosa in lei, una chimica che non avevo mai provato prima.

Quando era vicina, ogni pensiero si dissolveva in un vorticare confuso, e tutto ciò che rimaneva era il desiderio di essere qualcuno che lei potesse vedere. Non come un problema ambulante, un ragazzo pieno di rabbia e ferite, ma come... qualcuno normale.

Non era facile. Gli attacchi di rabbia erano diminuiti, certo, ma ogni tanto sentivo ancora quel fuoco salire dentro, pronto a esplodere. Henry diceva che il controllo sarebbe arrivato col tempo, e per ora ci credevo. Volevo crederci. E Luce... lei mi aveva già visto in alcuni dei miei momenti peggiori, eppure sembrava non giudicarmi.

Ma era un rischio. Volevo che mi vedesse davvero, senza il filtro di un passato burrascoso. Non sapevo nemmeno perché tenessi tanto alla sua opinione, o forse lo sapevo, ma non ero pronto a fare i conti con quella verità.

Salii sulla mia moto, il mio rifugio personale. Misi il casco, i guanti di pelle. Era un rituale ormai, un modo per mettere distanza tra me e il mondo. Accesi il motore, il rombo mi attraversò il corpo come una scarica di adrenalina. Era l'unico momento in cui mi sentivo completamente in controllo.

Forse stavo migliorando, forse stavo diventando qualcuno che Luce avrebbe potuto guardare con occhi diversi. Ma non sapevo ancora come chiederle di uscire. Dovevo inventarmi qualcosa di originale, di inaspettato, perché sapevo che non potevo semplicemente... chiederglielo. Non sarebbe bastato.

Mentre percorrevo la strada che portava al Lone Star, il vento mi sferzava il viso, aiutandomi a schiarirmi le idee. Il collegio si stagliava all'orizzonte, vecchio e imponente, circondato da campi e animali. Un luogo che non c'entrava nulla con la vita a cui era abituata, ma che in qualche modo era diventato casa. I fratelli De Angelis erano lì da qualche mese, ma non sembravano mai davvero adattarsi. Lei era diversa. Era una sfida, e io ero attratto da quel mistero.

Arrivai e parcheggiai la moto nel solito posto, proprio accanto alla vecchia stalla. Salii i gradini che portavano alla mia camera, condivisa con Archie. Lui era già lì, sdraiato sul letto con il solito sorriso arguto.

«Allora, com'è andata?» mi chiese senza alzare lo sguardo dal suo libro.

«Bene. Henry dice che sto migliorando.» Mi tolsi il casco, lasciando cadere i guanti sul tavolo.

«Migliorando in che senso? Stai finalmente imparando a non lanciare cose contro il muro quando ti arrabbi?» rise, ma c'era un fondo di verità nelle sue parole.

«Qualcosa del genere. Sto imparando a... controllarmi.» Mi gettai sul letto accanto al suo. «È stata indirettamente Luce a convincermi ad andare. Se non fosse stato per lei, non credo che avrei mai affrontato mia madre.»

CUPID IS A LIAR Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora