XI - Me l'ha insegnato lui

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Luce

Era da più di una settimana che non parlavo con nessuno. Non facevo niente, se non studiare. L'autunno stava incombendo e a breve sarebbe stato Halloween. In Texas non era come in Italia, lì lo prendevano seriamente. Addirittura si travestivano. Da noi, ci limitavamo ad una cena a base di zucca e un portachiavi con fantasma agganciato allo zaino, il più delle volte.

Adriel non mi guardava neanche più. E questa cosa mi irritava ogni nervo che avessi in corpo. A volte mi passava accanto col mento alzato e, se mi sfiorava, si spostava come se si fosse scostato. Cercavo il suo sguardo con costanza, in giro per il college, ma - seppure se ne accorgeva - non ricambiava mai. A volte lo trovavo a parlare con Ettore, ma non mi salutava neppure.

Quella mattina faceva freddo. Il tempo era uggioso e una raffica di vento faceva sbattere porte e finestre. Era mercoledì. Entrai in mensa, fissando il punto in cui sedeva sempre con Archie, ma c'era solo quest'ultimo. La sua sedia arancione era vuota. Come ogni settimana, da quando ero arrivata.

Mi avvicinai al tavolo dei bambini, tutti i loro sguardi incollati su di me. Mi diressi verso Giulio, sempre in perfetto ordine. Gli lasciai un bacio sulla testa e gli sorrisi.

«Come va?»

«Oh, discretamente. Matematica vuole passarmi alla classe avanzata. Che ne pensi? Non so se ne sono capace»

«Oh, Giulio, potresti iscriverti direttamente a medicina, per come sei fatto. Sta' tranquillo. Puoi affrontare qualsiasi cosa» gli sorrisi, con ancora lo sguardo assonnato.
Lui annuì piano. Sentii i suoi amichetti bisbigliarsi all'orecchio qualcosa sulla nostra famiglia, ma li ignorai deliberatamente.

«Luce» alzò di nuovo gli occhi su di me.

«Mh?»

«Ti ricordi che giorno è oggi?»

Mi irrigidii con ogni osso che possedevo. Un brivido di freddo mi percorse le membra e non era la finestra aperta, poiché era stata appena chiusa da un inserviente.

«Torna a mangiare, Giulio» lo liquidai senza guardarlo, mentre mi dirigevo al mio solito posto accanto agli altri.

«Perché non ne parlate mai?» alzò la voce, mentre si voltava verso di me. Gli davo le spalle ma mi immobilizzai.
Fortunatamente la mensa era discretamente grande e il grande vociare, non faceva ricadere l'attenzione su di noi.
Mi girai lentamente, sul volto il sorriso più finto e sfacciato che potessi avere.

«Si chiama rispetto. Lo sai come ci si comporta in queste situazioni» parlai a denti stretti, intimandogli il mio tono duro, che usavo ogni qual volta gli venissero in mente quelle idee.

«Credi che il rispetto per la mamma, sia non parlarne mai? Fingere che non sia mai esistita? Non ricordarla?»

Giulio era incazzato. Non lo avevo mai visto così. Corrucciava le sopracciglia e la voce era carica di rancore. Una consapevolezza stava prendendo radice dentro di me: quel posto lo stava cambiando. Lo dimostrava il fatto che fosse l'unico ad essersi inserito nella sua classe, a differenza di noi più grandi, che mangiavano sempre assieme e allo stesso tavolo.
Deglutii a vuoto.

«Non parlare così a tua sorella» ruggì Miranda, affiancandomi subito. Aveva finito di fare colazione e si stava avviando all'uscita ma aveva intercettato il tono austero di nostro fratello.

«Allora è vero, quello che dicono in giro. Siete solo degli egoisti e superficiali!» si alzò con un balzo dalla sedia e si piazzò di fronte a noi. La sua espressione risentita mi fece strabuzzare gli occhi. I suoi pugni chiusi e stretti mi fecero rabbrividire.

«Chi ti ha messo in testa queste cose?» quasi ringhiai, mentre mi abbassavo alla sua altezza per fissarlo dritto negli occhi.

Quando qualcosa di così grande, grava sulle proprie spalle, non ci si possono permettere passi falsi. Essere travolti dalle emozioni, non va bene. Sia in positivo che in negativo. Ogni evento della nostra vita, andava vissuto con razionalità e a testa alta. Ci hanno insegnato presto a non piangere in pubblico, mettere su il miglior sorriso di circostanza e dare sempre bella impressione di sé. Poi tornare a pensare agli affari, alle cose serie. Le emozioni potevano passare in secondo piano. Era stato il duro insegnamento di nostra madre, dopo la morte di papà. Per questo, eravamo già preparati, quando è successo a lei. Ed eravamo riusciti a trasmetterlo anche a Giulio. Ma non nelle ultime settimane.

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