X - Non così in fretta

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Luce

«Quando avevi intenzione di dirmi che il corso di musica lo teneva Adriel Calloway?» mi uscì come un ringhio.

«È stato più divertente così» scrollò le spalle, divertita, «avresti potuto immaginarlo. Essere il nipote della preside da i suoi vantaggi»

«È il nipote della preside?» bisbigliai, agitata.

Fu proprio lui a rimproverarci con uno sshh degno di nota. Lo guardai di sbieco e incrociai le braccia al petto. Se ne stava seduto su uno sgabello, mentre distribuiva gli spartiti a tutti quanti.

Piper rise di me.
«Io non sono tenuta a dirti proprio un bel niente»

Le lanciai un'occhiataccia. Mi ero già pentita di essere lì. Quando Adriel passò alla mia fila, mi cedette lo spartito tra le mani. Lo fissai come se fosse un fantasma. Lui mi guardò dall'alto, con un sorrisino divertito sulle labbra.

«Qualche problema, signorina?» inclinò il volto. Si prendeva gioco di me. Arrossii di rabbia e questo parve divertirlo ancora di più.

«Be', non ho uno strumento, forse?» tirai un sorriso finto sul volto. Lui si premette la lingua contro la guancia e mi indicò con un indice.

«Verità. Cosa sai suonare?» lo disse ad alta voce perché si stava allontanando, ritornando al centro della stanza.
Era piccola, in legno e faceva caldissimo. C'erano una sfilza di sedie in plastica e degli strumenti accostati in un angolo. Archie sedeva di fronte ad uno spartito, con una bacchetta in mano. Lui ci dirigeva.

«Tutto»

Adriel parve sorpreso. Alzò appena le sopracciglia. Era bello come un bronzo di Riace, stretto in una giacca di pelle scura, con dei jeans slavati e i riccioli che gli ricadevano come molle sulla fronte. Erano rossi come il sangue e il desiderio di passarci una mano in mezzo, si radicava dentro di me.

«Tutto... tipo?» incalzò ancora.
Mi schiarii la voce: «Pianoforte, viola, violino, contrabbasso, arpa, violoncello, flauto traverso, tromba e clarinetto. A volte mi diletto nel triangolo»

Una risatina sommessa partì da tutti i suonatori.
Qualcuno bisbigliò, in maniera udibile: «Montata».

Strinsi i pugni fino a sentire le unghie conficcate nelle mani. Quando alzai gli occhi, notai lo sguardo di Adriel puntato proprio sulle mie mani. Poi risalì sul mio viso. Indurì la mascella.
Mi lesse nella mente in una maniera che mi fece accapponare la pelle.

Inquadrò il ragazzo che aveva parlato.

«Qualche problema, signor Belford?»
Nessuno rispose. Si zittirono tutte le risatine.

«Fuori. Subito»

Un ragazzo con capelli rasati e occhiali come fondi di bottiglie, si alzò e sgattaiolò fuori, con la coda tra le gambe. Aleggiava un'aria pesante. Qualche ragazza mi guardò di sbieco. Io volevo sprofondare. Persino Piper si muoveva a disagio sulla sedia, accanto a me.

Poi ritornò con gli occhi fissi sui miei.

«Non abbiamo strumenti del genere. Ma potresti imparare, se vuoi entrare nel club. Ti do due settimane. Altrimenti non tornare qui»

Mi fissò con sufficienza e poi riprese a fare lezione.
Li ascoltai provare e suonare. Era così diverso da quello che facevo io. A me piaceva Mozart, se proprio volevo fare la trasgressiva suonavo Einaudi.
Loro si cimentavano in motivi allegri, un mix tra il pop e il folk. Quella musica aveva il sapore dei cappelli da cowboy e del fieno fresco. E si divertivano. Sorridevano, si canzonavano.

Quando suonavo, ero sempre sola. C'eravamo io e il pianoforte. O a qualsiasi strumento toccasse quella settimana. Era un momento personale, che faticavo a condividere. Invece loro lo vivevano meglio, tutti assieme.
Ero in quel collegio da tre settimane, ormai. E non mi era mai successo di sospettare che, forse, quella realtà era quanto meno accettabile. Quella fu la prima volta.
Ma mi sentii così in colpa che lo nascosi nella parte più remota di me.

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