Adriel
«Tu allontani le persone per la paura che ti allontanino. Credi di fottere la paura, ma è lei che fotte te. Questo sarebbe il tuo meccanismo di difesa?»
«Sì»
«Che meccanismo del cazzo»
Il gatto persiano di Henry sonnecchiava nella sua poltrona. Lo fissavo perché era l'unica cosa in quella stanza che si muoveva e pareva avere sembianze vitali. La pancia gli si alzava e abbassava in maniera ritmica ed ero affascinato da quel movimento, molto più interessante di quello di cui stava parlando Henry stesso.
«Mi ascolti quando parlo?» urlò, premendo le mani sulla scrivania in legno che ci separava.
Volsi lo sguardo su di lui.
La mia calma lo uccideva. Il mio menefreghismo lo ammanettava coi polsi alla sedia. Glielo leggevo negli occhi. E ne ero felice.«Sto ascoltando» scandii, in maniera calda e fredda, massaggiando il mento con i gomiti appoggiati alle ginocchia.
Henry si tolse gli occhiali e si massaggiò il volto.
«Tu non hai interesse in niente. Nemmeno nel guarire»
«Non ne ho motivo»
«Abbiamo già affrontato questo discorso»
«E abbiamo anche già detto che non ho niente da perdere»
Henry sospirò e mi fissò le pupille. Provava a scorrere un brivido di emozione, un sentimento. Ma non ci trovò nulla. E sul suo volto lèssi la delusione.
Aveva il volto segnato dall'età, era bassino e aveva solo un ciuffo di capelli sul retro del capo. Si allentò la cravatta e si schiarì la gola. Poi afferrò un taccuino e afferrò una penna, rimettendosi gli occhiali sul naso.
«Dunque, allora questa settimana nessuna rissa, vero?»
Non risposi. Abbassò i fogli e mi guardò con un cipiglio sul volto.
«L'ultima volta che sei venuto mi sono congratulato con te perché non hai fatto picchiato nessuno per due settimane. Cos'è cambiato?»
I suoi occhi piccoli e vispi mi fissarono indagatori. I lunghi baffi neri scintillarono sotto la luce della lampada dai toni caldi sulla scrivania. Mi strinsi le labbra in una morsa e distolsi lo sguardo, guardando fuori dalla finestra.
Scrollai le spalle.
«Ero arrabbiato»«Non è vero»
Scattai il volto verso di lui quasi a staccarmi la testa dal collo. Lo fissai con gli occhi sorpresi.
«Sì che è vero»
«Chi hai picchiato?»
«Patrick Thompson»
«Lo stesso liceale che hai attaccato al muro perché non ti aveva lasciato il bagno per primo, l'anno scorso?»
«Sì»
Henry non staccò lo sguardo dal mio. Lanciò i fogli davanti a sé con intolleranza e incrociò le mani sotto al mento. Una ruga gli scendeva esattamente in mezzo agli occhi.
«Per cosa l'hai picchiato, se non eri arrabbiato?» sussurrò.
«Ti ho già detto che ero arrabbiato!» urlai, sporgendomi in avanti con il busto.
Una scintilla gli attraversò gli occhi vispi. Alzò un angolo delle labbra.
«Per chi l'hai picchiato, se non eri arrabbiato?»
Il persiano saltò sulla scrivania, interrompendo il nostro contatto visivo, facendo trillare il campanellino che aveva al collo. Ne approfittai per alzarmi e andarmene.
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CUPID IS A LIAR
Romance«È un affare italiano, Scintilla» Nel cuore tormentato di un amore che non osava confessarsi, si annidavano segreti che bruciavano come braci ardenti e bugie che diventavano sussurri avvelenati, intrappolando i loro cuori in un vortice di desiderio...