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Sayer

Da bambina amavo le altalene. So che sono solamente delle piccole sedie senza gambe, scomode e scivolose, se non sono di buona qualità. Ma la sensazione di volare, quel piccolo attimo in cui sei sospeso per aria, il vento ti soffia tra i capelli, il sole ti scalda il viso e il cielo si abbassa di pochissimi centimetri... quell'attimo è impagabile. È un respiro di vita.

Un fugace tocco di immortalità irripetibile. Autentico. Reale.

Da bambina amavo le altalene, alla soglia dei vent'anni, odio le altalene. A dodici anni, la mia vita è radicalmente cambiata a causa di un fugace attimo su un'altalena. A dodici anni ero felice e ingenua, innocente. A vent'anni, non vivo più di attimi irripetibili e autentici.

A vent'anni, ammetto di non essere più la ragazzina stabile che ero prima. So bene di essere pazza, e lo ammetto senza vergogna.

C'è una buona parte di me, consapevole di aver perso il controllo della stabilità mentale da ragazzina, all'età di dodici anni circa. Quando tutto ebbe inizio urlavo e gridavo a squarciagola, piangevo e scalciavo con la speranza di potermi liberare e scappare, graffiavo e mordevo, pregavo i miei genitori e chiunque riuscisse a sentirmi. Dopo le innumerevoli e inutili preghiere, capii che niente di tutto quello che facevo sarebbe servito a qualcosa. Niente si sarebbe fermato. Non mi sarei mai salvata. E difatti, non è accaduto.

A quindici anni sono stata sepolta in una fossa, stracolma di segreti e indecenze, perdendo totalmente il controllo delle mie azioni e delle conseguenze alle quali esse portano.

Ora sono libera di fare ciò che voglio, con la consapevolezza che non lo sono affatto, libera. Sono vuota, insignificante. Sono un granello di sabbia in una spiaggia desolata, abbandonata, ma sempre osservata. Tenuta sotto controllo. E per compensare il vuoto all'interno del mio petto, per compensare la mia vita isolata, cerco di correre più veloce che posso, cosciente che le catene legate al mio collo non possono allungarsi più di quanto io desideri.

Durante l'adolescenza, ho provato ogni tipo di droga sul mercato. Ma le droghe non mi piacciono, mi svuotano, cancellano i pensieri e ogni ricordo che possiedo, e io non voglio più dimenticare niente. Voglio aggrapparmi a ogni minuscola briciola di odio che provo, voglio essere infettata, annientata da quel sentimento logorante che mi permette di rimanere in vita.

In città dicono tante cose di me. La verità? Non m'importa un bel niente di un'opinione che non esce dalla bocca di una sedicenne, che corrisponde al nome di Grace Kennedy.

Possono dire tutto ciò che vogliono di me. Possono dire che la domenica mi diverto ad accendere un falò in spiaggia, per poi osservare gli amati soldi di mio padre bruciare. Possono sussurrare in tutte le orecchie della città che bevo troppa vodka o che correggo il caffè con il whisky.

E possono spifferare a tutto il mondo che due volte a settimana, faccio sesso occasionale con l'assistente di mio padre, nei bagni dell'edificio degli imprenditori con cui lavora.

Lo faccio per dispetto, perché mio padre ha gridato e ordinato a tutti di non avvicinarsi a me e toccarmi. Mettermi le mani addosso è un privilegio che spetta a lui... e non importa se il suo dipendente è noioso e non dura più due minuti e dodici secondi, infastidire mio padre è l'unico obiettivo che mi sono prefissata. Lo odio, lo disprezzo, mi disgusta profondamente. E lo sa bene.

Sono sincera quando dico che l'unico motivo per cui continuo a vivere, è distruggere Gregory. Mi ha tagliato i viveri, portato via ogni centesimo a diciassette anni, dopo che il suo inserviente, o meglio, il suo grande e unico amico da una vita, gli disse di avermi spiata mentre compravo un biglietto aereo di sola andata per il Canada.

Ossigeno - Kolder // Saga Warner Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora