ℭ𝔞𝔭𝔦𝔱𝔬𝔩𝔬 20

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𝐀 𝐃𝐀𝐑𝐊𝐍𝐄𝐒𝐒 𝐓𝐇𝐀𝐓 𝐓𝐀𝐒𝐓𝐄𝐒 𝐋𝐈𝐊𝐄 𝐇𝐎𝐍𝐄𝐘

ERICA

"La vera dannazione? La mente. Prova a spegnerli i pensieri quando t'incendiano i sensi."
ELETTRA MAYER

Iniziai a tossire così forte che sentii bruciarmi la gola.

<<Brava, così>> mi incoraggiò, la voce lievemente sollevata, strofinandomi la schiena per poi affidarmi alle cure di Stefano, inginocchiato accanto a me, alla mia sinistra. Mi abbandonai a lui posando la tempia al suo petto mentre recuperavo le mie energie e udivo l'eco del suo cuore e il calore della sua pelle oltre la camicia azzurra lambire la mia pelle e una sensazione di conforto involgermi.

<<Ci hai fatti spaventare>> mormorò Stefano, la serietà del suo tono sfumato con la gentilezza, la preoccupazione e il sollievo.

Quanto tempo ero rimasta incosciente?
Incrociai il suo sguardo. Le iridi color oceano rilucevano come avrebbero fatto le sue onde durante una giornata soleggiata un istante prima che una nuvola oscurasse il sole e mutasse l'azzurro in un blu profondo e penetrante, a tratti di una bellezza estatica, altre volte minacciosa.

<<Enrico?>> sussurrai.

Stefano distolse lo sguardo da me e lo dirottò su un punto davanti a noi. Ne seguii la traiettoria e intravidi Enrico raggiungere Calogero.

<<Hai osato toccare ciò che è mio>> esordii lui mentre si arrotolava le maniche della camicia, la sua voce un ringhio oscuro che gli proveniva dal petto. Le vene sugli avambracci erano pericolosamente gonfie e pulsavano, le iridi iniettate di sangue. <<E per questo la pagherai.>>

<<Aspetta....che vuoi fare?>> balbettò improvvisamente Calogero, gli occhi che gli uscivano fuori dalle orbite mentre indietreggiava.

Era spaventato e seppure fosse un uomo alto e vaccinato, dal corpo prestante e la forza bruta, non potevo dargli torto. Anche se un ragazzo che si apprestava a diventare un uomo, Enrico Ferrari era fuori dal comune con la sua corporatura ampia e possente, i muscoli ben marcati fasciati dalla camicia e dai pantaloni eleganti, simile a un cavaliere oscuro proveniente dal peggior buco dell'inferno. E questo grazie alla sua dedizione allo sport, alla palestra, in particolare modo alla boxe.

In quel frangente stentavo a riconoscerlo. Emanava un potere agghiacciante. Ammantato di nero, era l'incarnazione della morte, una morte raccapricciante e crudele.

<<Parliamone. Ti pre->>

<<Non mi pregare>> lo interruppe Enrico, la voce tagliente quanto un'ascia pronta a decapitarlo. <<Dì le tue ultime preghiere.>>

<<Ma chi cazzo sei, eh?>> proruppe, cambiando improvvisamente tattica.

<<Tempo scaduto.>>

Enrico lo afferrò per il colletto della polo e gli sganciò un destro poderoso che gli fece roteare gli occhi dietro al cranio e sgorgare fiumi di sangue dal naso e dalla bocca. Lo colpì ancora e ancora con un furore omicida e al contempo con una freddezza e una calma letali, ogni volta che Calogero boccheggiava di lasciarlo stare. Ma era tutto inutile. Il suo volto era impassibile. Non vi leggevo un barlume di emozione. Era come una macchina il cui programma era impostato solamente nell'annientare l'essere che gli stava davanti. Colpiva, colpiva, colpiva senza mai smettere, senza mai lasciarlo cadere e così essere costretto a interrompersi, sollevarlo da terra e ricominciare. Non era più lì tra noi, ma in una dimensione lontana, incitato dai suoi demoni interiori a finirlo mentre gli tumultuavano attorno, ignorando le lacerazioni che stavano cominciando ad emergere sulle nocche, le pulsazioni della carne livida, il fuoco della sofferenza, l'odore metallico del sangue che si riversava sul suo volto, conferendogli una bellezza esiziale.

𝔇𝔢𝔳𝔦𝔩𝔦𝔰𝔥 𝔓𝔩𝔞𝔶 [𝒾𝓃 𝓇ℯ𝓋𝒾𝓈𝒾ℴ𝓃ℯ✍️]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora