ℭ𝔞𝔭𝔦𝔱𝔬𝔩𝔬 50

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𝐓𝐇𝐄 𝐒𝐇𝐎𝐖𝐃𝐎𝐖𝐍

✨𝐏𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐚 𝐍𝐨𝐭𝐚✨
Non ho niente di vitale da dire, se non quello
di ricordarvi che, come vi ho precedentemente esplicato, in vista della revisione,
ambientazione ed età sono diversi.
Lo dico per i dettagli che troverete leggendo.
Detto ciò, vi auguro una
buona lettura.

ENRICO

"Il Poker è guerra.
La gente fa finta che sia un gioco."
DOYLE BRUNSON

A questo mondo c'è chi non sogna mai e chi ci riesce anche ad occhi aperti, e nell'abbraccio di quei sogni rivive un passato che si credeva di aver sepolto per sempre, riscopre la felicità o sperimenta sulla pelle una delle sue più grandi paure.

La sua era quella di essere amata.
La mia quella di amarla troppo, al punto da poterne morire e smarrire me stesso all'interno di un sentimento caotico e inarrestabile. Ma, soprattutto, era quella agghiacciante di vedermela sottratta tra le braccia. E solo per colpa mia.

Cammino in punta di piedi lungo il corridoio a scacchiera e nel mentre conto mentalmente i quadranti neri. Non voglio che mi trovi di già. È la seconda volta che mi stana e che avverto l'amara sensazione della sconfitta. Non sono nato per essere un perdente, ma per essere un vincitore, sia che questo riguardi eccellere nella vita quanto in uno stupido gioco come nascondino.

"Sto venendo a prenderti" cinguetta Cat.

Provaci se ci riesci. 

Oggi è particolarmente di buon umore se ha proposto di giocare senza prima costringerla puntando sull'esasperazione. Non lo fa mai, dice che non le piace sprecare il suo tempo inutilmente. Suppongo che debba ringraziare il clima assolato per questo cambiamento d'opinione. 

Proseguo, il passo più affrettato, seguendo le note di un mite pianoforte, e giungo alla fine del corridoio, da dove accedo a una delle innumerevoli stanze della villa estiva di famiglia.

È arrivata l'estate, il che significa che, come ogni anno, trascorreremo due settimane ad abbronzarci sotto il sole e a fare il bagno nel lago, lontani dallo smog e dal traffico cittadini. Due settimane da spendere giostrandomi in diverse attività all'aria aperta, da quelle più spiccate come l'equitazione a quelle più elementari come il calcio o una partita a carte sotto l'ombra dei faggi. O ancora, come in quel caso, a nascondino insieme ai bambini dei vicini, tutta gente altolocata, appartenente alla vecchia Borghesia o alla blasonata Aristocrazia italiana, che coltiva ancora la tradizione di recarsi in villeggiatura a Como; bambini, dicevo, che ho perso di vista dal momento in cui ho varcato la soglia di casa e mi sono messo a correre a per di fiato, dribblando i domestici impegnati a far arieggiare l'edificio e a rimuovere le bianche tele dai mobili antichi di famiglia. 

Mi fermo davanti alla stanza oltre le cui porte chiuse odo adesso il pianoforte con maggior nitidezza. È una sinfonia lenta, dolce, a tratti malinconica, e mi viene il dubbio se il pezzo suonato appartenga al repertorio di Beethoven o a quello di Chopin.

Aggrotto la fronte. Mi infastidisce avere dei dubbi di questo tipo.

Mamma e papà mi hanno iniziato allo studio delle arti, in particolare al disegno e alla musica classica, nella speranza di radicare in me, già da bambino, il gusto del bello, l'amore per la sapienza, per fare di me una sorta di mecenate, un esteta. Ma se la prima forma d'arte l'ho subito avvertita come la mia vocazione, la seconda non mi insegnerà altro che ad apprezzare una buona musica e a saperla distinguere. Non ho difficoltà a rincorrere i tasti, a comporre dal nulla melodie che mamma poi registra, incantata, ma l'emozione che sento nel petto non è paragonabile a quello di quando padroneggio una matita, a quando il carbone si riversa sulla carta e concretizza le mie idee, traduce in realtà le mie ambizioni, ne dimostra la possibilità e il potere consequenziale.

𝔇𝔢𝔳𝔦𝔩𝔦𝔰𝔥 𝔓𝔩𝔞𝔶 [𝒾𝓃 𝓇ℯ𝓋𝒾𝓈𝒾ℴ𝓃ℯ✍️]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora