Capitolo 10: Lucy

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Dove cavolo potevo nascondermi? Isabelle che stava contando nel salone, al piano terra, non ci aveva nemmeno fatto fare il tour della casa. E io avevo appena salito in fretta tutte le rampe di scale, dopo che ero per caso finita dentro a un bagno. In cui ovviamente non c'era nessun posto adatto per nascondersi, tranne dietro la tenda della doccia, ma era troppo scontato. Avevo il fiatone ma mi sentivo come se fossi tornata bambina. Ripresi fiato, e mi posai le mani sulle ginocchia. Non avevo visto dove erano andati gli altri e il tempo stringeva. Una porta alla fine del corridoio attirò la mia attenzione.

Abbassai la maniglia, pregando che non fosse chiusa a chiave. E funzionò.

Il soffitto della stanza seguiva la forma pendente del tetto, forse era una soffitta. Tele di quadri abbandonati erano accatastati alla pareti, coperti da lenzuoli giallognoli, e, alla fine di tutto, un grosso e vecchio armadio scuro troneggiava con la sua presenza imponente. Mi ci avvicinai. Le ante avevano un'aria regale, ghirigori di pittura dorata si intrecciano a intagli di foglie di quercia e piume di pavone.

Afferrai il pomello, caspita, sembrava proprio un armadio per Narnia. Aprii l'anta che cigolò così forte da farmi spaventare.

Scattai come una molla a indagare se qualcuno, oltre la porta, lo avesse sentito. Ma riportai subito lo sguardo sui vecchi cappotti e pellicce appesi alle grucce di legno. Cavolo, cavolo... Cavolo. Non potevo crederci.

Il cuore cominciò a battermi così forte che lo sentivo nelle orecchie e nella gola. Posai un piede sul legno, trattenendo il fiato. E scostai un cappotto.

Uno dei due ragazzi biondi mi salutò con la mano. Mi sembrava di aver capito che si chiamasse Jack.

«Ops...» la mia lingua si staccò dal palato con uno schiocco. «Se è già occupato me ne vado.»

«Sei pazza? Isabelle avrà già finito di contare a quest'ora» allungò la mano verso di me, «Entra, c'è spazio per tutti e due.»

Guardai di nuovo dietro di me. La porta era ancora chiusa. Però aveva ragione. Isabelle aveva sicuramente già cominciato a cercarci. Scostai altri due cappotti, mi infilai del tutto nell'armadio, chiusi l'anta alle mie spalle, tirandola verso di me e mi rannicchiai a fianco a lui.

Lo sentii sistemare di nuovo i cappotti. «Nasconditi bene dietro ai vestiti. Sennò ci scoprono subito.»

Annuii, anche se non poteva vedermi. L'unica fonte di luce era la piccola fessura verticale tra le due ante.

Lui mi urtò la coscia con il gomito. «Dio, come puzzano di naftalina. A te non lacrimano gli occhi?»

Roteai gli occhi verso la semioscurità. «Dovresti stare in silenzio, sennò ci scopriranno di sicuro.»

«Hai ragione. Scusami, è che odio questo gioco.»

Restammo in silenzio per un po'. Avrei voluto avere con me il telefono, giusto per controllare l'ora, ma lo avevo messo in carica nella camera dove Isabelle aveva detto a me e alle gemelle di posare il nostro borsone. L'attesa stava diventando snervante.

«È una cosa stupida, ma magari funziona.»

Cavolo. Non voleva proprio saperne di starsene zitto. «Cosa?»

«Non prendermi per scemo. Ma mi chiedevo...» abbassò la voce, e girò il viso verso di me. Il suo respiro mi entrò nell'orecchio. «Perché non provi a tastare bene il fondo?»

«Non capisco... Perché dovrei?»

«Ti chiami Lucy.»

Oh... E così conosceva Narnia anche lui. «Sì, ma non sono quella Lucy.»

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