Epilogo: Lucy

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«E così registreremo canzoni con loro» Neif si era fermato a mangiare la cena di sushi con me e Caleb. «Ma...»

«C'è un ma?» smisi di torturare il mio riso. Era strano guardarlo in volto, dopo che aveva infilato una parte del suo dito dentro di me. Era strano anche solo ricordarlo... Eppure era accaduto, avevo lasciato che accadesse e il mio cuore non ne stava soffrendo.

Ero davvero più forte di quello che credevo. E Neif aveva avuto di nuovo ragione su di me.

«Sì» si rabbuiò. Non capivo come potesse essere così triste. Alla fine era come se io avessi ottenuto un contratto con una casa editrice, pronta a pubblicare qualunque cosa avessi scritto. Ero davvero al settimo cielo anche io per lui.

Allungò il braccio e mi sfiorò il polso. «Te ne parlo dopo. Magari mentre facciamo una passeggiata, ok?»

«Se vuoi me ne vado a innaffiare le piante» propose Caleb, posando le bacchette accanto alla sua ciotola. «Così vi lascio soli.»

«No, tranquillo. Ora mangiamo» Neif gli fece cenno di rimanere seduto, «Vorrei stare dopo da solo con lei.» Mise un sacco di enfasi nella parola "dopo".

Caleb gli sorrise. Cercando di smorzare la tensione che gli scuriva il viso. «Ah e io che avevo capito che Lucy volesse fare una cosa a tre» mi indicò con la bacchetta, «Non avevi detto qualcosa del genere, prima?»

Divenni rossa come un pomodoro. «Caleb?»

«Tranquilla, capisco che sia una cosa difficile. Però non devi lanciare il sasso e poi nascondere la mano!»

Ma Neif non lo assecondò come sempre e non rise alle sue battute. Forse c'era davvero qualcosa che non andava. Forse non aveva nemmeno notato che molto spesso avevo abbassato lo sguardo sulle sue dita.

Più tardi uscimmo e ci incamminammo verso il mare. Il garrito dei gabbiani e il rumore delle onde che si infrengevano sulla sabbia coprivano il suono dei nostri passi. Neif mi tenne la mano per tutto il tempo, proprio come avrebbe fatto un fidanzato.

«C'è una cosa che devo dirti.»

«Lo avevo capito» sussurrai, «E mi hai messo un'ansia assurda addosso.»

«Scusa.»

«Dai, dimmelo, prima che mi vengano le rughe.»

«Devo andare in America» buttò fuori d'un fiato, «O meglio, io, Seth e Adam andremo in America, a Los Angeles. La casa discografica che ci ha ingaggiato è lì. E abbiamo già firmato il contratto.»

«Mi sembra fantastico. Quindi starai via per un po' di giorni?»

«No, Lucy.»

I miei occhi si focalizzarono sugli addobbi di Natale, sugli scheletri di luci dei pupazzi di neve che decoravano il marciapiede.

«Qualche mese?» riprovai.

Si strinse nelle spalle, mentre il vento gli scompigliava i capelli. «Ci trasferiamo lì. E comunque, se riuscissimo a diventare famosi, non sarò mai a casa. O quasi mai.»

«Vero» mi diedi una manata in fronte e lasciai andare la sua mano, «I musicisti fanno una vita da nomadi.»

La realtà si presentò crudele.

Ora stavo cominciando a capire. Stare con lui era davvero come andare sulle montagne russe. Un artiglio scuro del mio passato cercò di tirarmi indietro. Neif mi avrebbe detto addio, come gli altri.

«Già» posò la fronte sulla mia, «Vieni con me. Anche tu. Vieni con noi.»

Non suonava come una domanda.

Non farmi stare maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora