Capitolo 20: Lucy

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«Lucy!» mi chiamò una voce.

Mi voltai di scatto. Era Chris. Aveva il cellulare all'orecchio, forse stava chiamando qualcuno. Lo posò subito in tasca e mi raggiunse.

Il sangue mi si gelò nelle vene. Non avevo nemmeno preso il cappotto, dovevo averlo abbandonato su qualche divanetto del soppalco.

«Che bello trovarti qui. Mi sarebbe piaciuto parlarti di più ieri, ma eravamo entrambi molto impegnati.»

«Ciao» gli mostrai un sorriso tirato mentre mi stringevo le braccia al corpo e mi infilavo le mani sotto le ascelle. Perché dovevo incontrare proprio lui? Non era solo con Neif che ero arrabbiata. Come si era permesso di dirgli una cosa simile? Di trattarmi come una semplice sfida da letto?

«Perché sei senza giacca?»

Rabbrividii. «L'ho persa. Qui... Da qualche parte.»

Lui trattenne una risata. Si sfilò la sua e me la mise sulle spalle.

«Non devi...» protestai, cercando di scrollarla via. Aveva il suo odore. Il suo profumo... Qualcosa di delicato e muschiato.

Lui me la calcò meglio addosso e sorrise. «Tranquilla, non morde.»

«Chris...» Non volevo parlargli, ma allo stesso tempo non volevo mettere nei guai Eliza per quello che mi aveva rivelato. Mi morsi le labbra, non sapevo cosa dirgli.

«Lo so, è strano anche per me rivederti così. Sei cambiata. Eri bella quando ti ho conosciuta. Ma ora lo sei ancora di più» scostò lo sguardo dai miei occhi, come se fosse in imbarazzo, «È come se la luce che avevi si fosse, non so, espansa.»

«Tu eri un ragazzino timido con gli occhiali... E ora sei...» lo sguardo mi cadde sul maglione che gli fasciava i bicipiti pronunciati. Deglutii. «Io comunque ho messo su qualche chilo da quegli anni, sai?»

«Sei bella comunque. E poi ho sempre preferito le ragazze come te.» Mi sorrise. «Te lo ricordi, perché abbiamo smesso di parlarci? Mi sento ancora in colpa per averti persa.»

«Alex.» Alex era tornato a farsi sentire e Chris se ne era andato senza possibilità di farmi spiegare.

«Ah sì, quel ragazzino che avevi conosciuto a Swansea, quando sei andata a trovare tuo padre. E con lui come è finita?» si avvicinò al muro per ripararsi dal vento.

«Non voglio parlare del passato» mi avvicinai a lui, «Ti ridò la giacca. Prenderai freddo.»

«Perché non entriamo?» ammiccò verso la porta, e solo allora mi accorsi che era un'uscita di sicurezza. «Io tra poco ho un impegno di lavoro dentro questo locale. Ma magari ti offro da bere, prima. Mi piacerebbe fare due chiacchiere con te, davvero.»

Scossi la testa. «In realtà sono uscita perché la musica mi stava facendo venire l'emicrania» mentii.

Lui allungò le dita sul colletto della sua giacca, posando i polsi sulle mie spalle. «Quando ti ho vista uscire, mi stavo giusto chiedendo come mai fossi qui. Non ti facevo tipa da discoteche. O magari hai cambiato idea negli anni?»

Resistetti all'impulso di fare un passo indietro. «C'è una festa di compleanno a cui sono stata invitata.»

«E probabilmente non ti stai divertendo. Giusto?»

«In realtà sì, mi sto divertendo. Ma non riesco a sopportare la musica alta e il caos.»

Lui sorrise e le sue dita scivolarono sulla mia treccia. «Quindi non sei poi tanto cambiata. Ma posso farti una domanda?»

«Solo se ti fai ridare la giacca.»

«Non voglio che ti ammali e tu non vuoi entrare.»

«Allora ti riparo dal vento» mi misi di fronte a lui. Non aveva senso quel mio gesto, non dopo quello che lui e Neif volevano farmi, ma non riuscivo a non essere gentile. Non riuscivo a non pensare che...

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