Capitolo 13: Neif

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Si era alzato del vento freddo, ma lì, tra gli alberi di Bute Park, si era formato un riparo. E al sole non si stava poi così male.

Ripresi il telefono dalla tasca della giacca e controlla la risposta di Lucy.

Va bene. Aspettami lì.

Non l'avevo sognata. Speravo solo che non cambiasse idea. Erano già passati quasi una ventina di minuti, e io sapevo che aveva ancora solo un paio di giorni liberi. Dovevo farmi perdonare, il mio senso di colpa mi stava macinando dentro e riducendomi in piccoli granelli di polvere.

Le avevo proposto qualcosa che le sarebbe piaciuto. Una coperta patchwork. Qualche biscotto al burro. E un libro da leggere al parco, finché il sole ce lo permetteva. Volevo sovrascriverle il brutto ricordo che aveva di me lì.

Ma lei stava diventando imprevedibile. Dovevo fare qualcosa perché la sua attenzione rimanesse su di me.

Sussultai quando mi si sedette di fianco. Abbastanza lontana da non essere a portata di braccio. Ero così immerso nei miei pensieri...

«Wow, non mi hai dato buca. Bisogna brindare.»

«Temevi che ti avrei dato buca?»

«Non ho certezze con te.»

«Ma non ti ho mai dato buca finora.»

Lo so, ma ho sempre paura che prima o poi scapperai.

«Prendi una lattina. È coca cola.» le indicai gli snack che avevo portato, ma lei non mi badò. «D'accordo forse anche aranciata e coca cola sono troppo da ribelle per te?»

«Preferirei non bere nulla di frizzante. Sono già agitata di mio.»

Mi morsi le labbra. «Non ho portato acqua.»

«Per tua fortuna, non ho sete.»

«Se ti venisse sete, come alternativa c'è sempre la mia saliva.»

«Bleah! Cosa sei? Un lama? Mi avresti sputato in bocca?»

«Pensavo a qualcosa di più romantico, in verità.» Attesi la sua reazione. E lei si irrigidì alla mia frecciatina. «Ho portato anche delle patatine. Sono quelle col disegno della capra sopra, ma dubito che esista una fabbrica dove le capre fanno le patatine.»

Ridacchiò e sembrò rilassarsi. «Che ne sappiamo noi comuni mortali? Magari esiste. E hanno messo il disegno di una capra sul sacchetto per depistarci.»

«Tu dici?» osservai il sacchetto, «Ha anche una bandana da pirata.»

«Sei un po' fissato con le capre, non credi?»

«Perché non hai ancora conosciuto Franz.»

«Franz?»

«Il mio tamburello tedesco. Quello che ho preso in Germania. Lui adora le rape rosse. Dagli una rapa e lui diventa il tamburello più felice del mondo.»

«Non riesco a capire se ti sei drogato, o cosa?» rise.

«Mi insulti così» le sorrisi, «Non eri tu quella fantasiosa, che sognava i polipi e voleva diventare una scrittrice?»

«A me piacerebbe essere un pirata. Avere una mia nave con cui fare tante avventure. Per questo non posso essere una principessa» sorrise, guardando i rami mossi dal vento.

«Oh, oh, il grande ritorno del capitano. E quanti cannoni ha la tua nave?»

«Non ne ho idea. Ma se tu facessi parte dell'equipaggio potresti fare soltanto il mozzo.»

«Ah, e io che speravo di essere l'amante del capitano. Quello che tiene nascosto nella stiva, sai? Con tutti i tesori. Dopotutto anche loro hanno bisogno di divertirsi» mi osservò stranita, «Che c'è? È un lavoro faticoso, quello del capitano. Ed è accertato che fare sesso diminuisca i livelli di stress.»

Non farmi stare maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora