1-1 la domenica di Attilio

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L'uomo che mi guarda riflesso dallo specchio si chiama Attilio Giardini. Il suo volto è il mio, ma non sono io l'uomo che ho davanti. Comunque non importa, non sarà così ancora per molto perché sto per morire.

Ancora non so come accadrà, forse per un incidente, forse per un malore improvviso o per una malattia di cui ignoro l'esistenza e che mi sta consumando silenziosamente. È anche probabile, vista la faccia riflessa nello specchio, che morirò semplicemente perché sono un vecchio.

Eppure, per me, la fine non sarà la fine. Non lo è più da un bel pezzo. Attilio Giardini morirà, spero in modo rapido, me lo auguro sia per lui che per me. Una morte lenta, la sofferenza inchiodato in un letto, magari l'agonia di mesi d'infermità: non vorrei doverci passare di nuovo e non l'auguro certo ad Attilio.

So che possono sembrare i vaneggiamenti di un pazzo, ma non è così - anche se un pazzo direbbe la stessa cosa. Io non sono lui, l'uomo che mi guarda dallo specchio mentre si schiaffeggia con la colonia - mai usata la colonia in vita mia. Attilio Giardini non è il mio nome e nemmeno la faccia bonaria e rugosa nello specchio è la mia. Eppure da un po' vivo in questo corpo - diciamo che convivo con Attilio - e questa è la mia vita, o almeno, lo sarà fino a quando non giungerà la morte. Di nuovo.

Dicevo, Attilio Giardini morirà, ma non io. Mi sveglierò da qualche parte, dietro gli occhi di qualcun altro, avrò un nuovo nome, una nuova età, un nuovo aspetto, ma quello che non cambierà sarà il mio destino. Sarò di nuovo prossimo alla morte.


Questa mattina è domenica. Dopo essermi fatto la barba, religiosamente a lametta, e dopo la colonia, mi pettino i capelli. Attilio pensa ad Agata, a come è piacevole farle visita in negozio, con ogni possibile scusa, per poter parlare con lei. Agata è la vedova del ferramenta all'angolo della strada, stamani il negozio è chiuso ma Attilio conta di salutarla tra le panche della chiesa. Magari a fine messa si offrirà di accompagnarla per un tratto di strada.

Attilio ricorda come Agata fosse bella da ragazza e pensa a quanto lo sia ancora ai suoi occhi. Io invece non aspetto altro che scendere al bar per farmi un cornetto con cappuccino. So che all'età di Attilio non dovrei esagerare con gli zuccheri e il caffè, ma tanto sono così vicino al capolinea che non credo sia utile farsi degli scrupoli. Quanto ad Agata, lo vedo quanto le faccia piacere la corte di Attilio, ma spero che non abbia puntato troppo su questo cavallo, perché non credo che riuscirà a piazzarsi tra i vincenti. Forse non ce la farà nemmeno a finire la corsa.

Attilio prende la porta di casa e dimentica il cappello. Lo fa sempre, ogni volta. Tocca tornare indietro, riprendere l'ascensore fino al quarto piano e perdere un sacco di tempo. Stamani è già tardi, il Casanova ha perso un bel po' di tempo a leccarsi allo specchio. Finirà col fare tardi e non vorrei che questo comportasse la cancellazione della fermata al bar. Ci tengo al cornetto e al cappuccino: non mi restano molte altre gioie nella (sua) vita.

«Attilio guardati di nuovo allo specchio prima di uscire. La vedi la capoccia pelata? Non ti sembra che manchi qualcosa?»

Attilio si ferma proprio all'ultimo e guarda nello specchio per darsi un'ultima sistemata. Non sembra si sia accorto di niente. Sta ancora pensando ad Agata, il tenerone.

«Attilio il cappello! Sveglia per la miseria! O qui ne va della mia colazione.»

Sembra quasi che mi senta perché improvvisamente smette di canticchiare e dandosi una manata in fronte prende il cappello e lo calza in testa.

Ho detto "sembra che mi senta" perché non è così che funziona. Non mi sentono mai. A volte ho quasi creduto che potessero farlo, ma non è così. Sono spettatore di una vita che non è la mia, prigioniero senza voce in un corpo che non mi appartiene, in attesa di una fine tanto inevitabile quanto inutile poiché neanche quella è mia.

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