8-2 passato

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Ci vogliono dieci minuti per arrivare a casa. Dado mi aspetta in piedi come un genitore in pensiero per sua figlia, se per figlia si intende la sua bici. Credo che avesse idea di darmi una strigliata, ma devo avere una faccia da schifo perché non solo evita, ma mi chiede se va tutto bene.

«Tutto bene. Sono solo stanca» lo rassicuro e per non rispondere ad altre domande vado a chiudermi in camera. Mi appoggio alla porta e scruto la stanza in disordine, quasi trattenendo il respiro. Lui non si è fatto vivo tutto il giorno, ma ora che sono sola mi aspetto la sua visita da un momento all'altro.

Mi cambio, buttando i vestiti dove capita. La voglia di tenere in ordine è già passata. Mi butto sul letto e la mia mente torna ai pensieri fatti mentre lanciavo la bici a tutta velocità, attraverso le strade semi deserte. La rabbia per l'insensibilità di Simo e poi la giustificazione che non può sapere cosa sto passando. Un pensiero che mi ha portato di nuovo a confrontarlo con Viola e al fatto che lei avrebbe capito subito.

Sblocco il telefono e guardo l'ora: mancano pochi minuti alle due. Meglio andare a dormire. La foto di Viola che abbraccia Ilari mi fa di nuovo pensare a lei. Vorrei smettere, voltare pagina una volta per tutte, e forse per farlo dovrei iniziare col cambiare quella foto. Apro la galleria in cerca di un'altra foto con cui sostituirla mentre la memoria torna al momento in cui è stata scattata. La prima e ultima estate che io e mia sorella siamo andate al mare da sole, prima che la mamma si ammalasse e che tutto cambiasse, a casa e tra noi. Eravamo straordinariamente single entrambe, io senza nessuna storia seria dopo la brutta rottura con Robbie, lei appena lasciata col suo fida storico, Giacomo Acomanni, detto "leinonsachisonoio", anche se io lo avevo sempre saputo chi era: un cazzone borioso, e i fatti mi avevano dato ragione. Avevamo organizzato tre settimane di campeggio in tenda in Maremma: tutto sole e divertimento, zero ragazzi. Così ci eravamo promesse e così in effetti è andata anche se non proprio come ci immaginavamo.

Viola l'abbiamo conosciuta in spiaggia il secondo giorno. Era al nostro stesso campeggio, in vacanza con due amiche. Di un anno più grande di me, spigliata, scanzonata e gay dichiarata. Di lei ricordo che mi colpirono i suoi occhi azzurri e il suo modo rilassato di esibire il corpo. Io e mia sorella eravamo un concentrato di fisime sul nostro aspetto mentre lei se ne fregava. Non che avesse chissà che di cui preoccuparsi. Aveva un fisico prosperoso: si definiva morbidamente sexy. Io la trovai fin da subito bella.

Facemmo subito gruppo con Viola e le sue amiche. Andavamo insieme in spiaggia, a fare passeggiate, a ballare, a cena fuori. Viola scherzava con tutte, soprattutto con Ilari, meno con me, tanto che pensavo di starle poco simpatica. Solo dopo qualche giorno ho scoperto che in realtà le cose erano ben diverse.

Ricordo bene il pomeriggio in cui scattai quella foto. La mattina aveva piovuto e quando era uscito il sole tutto aveva assunto colori più vividi. Eravamo scese in spiaggia come al solito e avevamo iniziato a farci foto con lo sfondo della spiaggia e della pineta, sotto un cielo macchiato di nuvole. Prima da sole, poi a coppie e in gruppo, ci eravamo fatte prendere la mano e ne avevamo scattate più di un centinaio.

Quella sera dopo cena tornammo sulla spiaggia per fare due passi sotto la luna piena. Ricordo che Viola aveva proposto di fare il bagno di mezzanotte, ma la cosa non aveva provocato molto entusiasmo tra le altre. A me sarebbe anche piaciuto, ma me l'ero tenuto per me. Io e lei ci eravamo sedute su un tronco portato sulla spiaggia dal mare mentre le altre si erano messe in testa di raccogliere dei legni per accendere un fuoco.

Ricordo che mostrai quella foto a Viola assieme ad altre. Volevo solo farle vedere come era venuta bene, così spontanea e sorridente, in molte di esse. Non mi accorsi che ci eravamo fatte vicine fino a quando Viola non mi baciò. Mi colse di sorpresa, la mia partecipazione fu minima, ma non mi ritrassi. Quello fu il nostro primo bacio. Quando Viola fece per separarsi da me, fui io a cercare le sue labbra. Quello fu il nostro secondo bacio e ne seguirono molti altri.

Il giorno dopo Viola mi prese il telefono e impostò quell'immagine come sfondo. Io trovai strano che avesse scelto una foto di lei e mia sorella quando ce n'erano anche alcune niente male di noi due. «Così ti ricorderai del nostro primo bacio» mi disse. «Mi stavi mostrando proprio questa quando ho capito che non sarei riuscita a trattenermi dal baciarti.»

Da allora la foto è rimasta lì. Anche se io e Viola ci siamo lasciate e io e mia sorella non ci parliamo praticamente più.

Mentre penso a questo continuo a scorrere le foto di quell'estate al mare e ricordo ogni momento di quei giorni felici. Colpevole, mi rendo conto che il proposito di cambiare lo sfondo del cellulare si sta scontrando di nuovo con la mia incapacità di rinunciare a lei.

Mi butto a letto mentre continuo a scorrere la galleria, seguendo gli otto mesi della nostra storia. Quando Viola scompare dalle foto gli occhi mi si riempiono di lacrime. Torno indietro e poi di nuovo avanti come se il risultato potesse cambiare. Scoppio a piangere mentre ricordo il giorno in cui ho posto fine alla nostra storia.

«Viola non sono lesbica e non ti amo, perciò meglio chiuderla qua» queste le parole esatte, aride, crudeli e prive di ogni verità con cui le ho spezzato il cuore.

«Chiudi questa follia con quella lesbica... tu sei normale... mamma non ha bisogno di altri drammi con il cancro che la divora... non vorrai mica ucciderla con questo tuo capriccio di essere improvvisamente diventata una gay...» questi i momenti peggiori del continuo insistere di Sergio affinché io lasciassi Viola e non aggiungessi «...sofferenza alla nostra famiglia... sofferenza a mamma...»

Ero terrorizzata per tutto in quei mesi d'incubo: per mamma che si faceva ogni giorno più piccola e fragile, per la chemio che la faceva stare sempre peggio, per il rifiuto di Sergio del mio coming out, per il terrore che anche mamma non lo accettasse, che il dispiacere l'avrebbe uccisa, che mi disprezzasse come sembrava disprezzarmi Sergio.

Fu proprio in quel periodo che io e mia sorella ci allontanammo. Io avevo bisogno di qualcuno che mi sostenesse in quel momento orribile, ma lei non voleva contrastare Sergio e anche se in modo più pacato era d'accordo con lui di non dire niente a mamma sulla mia storia con Viola. I suoi silenzi quando lui mi diceva certe cose facevano male tanto quanto le parole di Sergio.

Io non volevo rinunciare a Viola anche se era diventato come mettermi contro la mia famiglia, come se amarla significasse non tenere abbastanza alla vita di mamma. Questo inevitabilmente influiva sul nostro rapporto. Litigavamo spesso gli ultimi periodi, e altrettanto spesso c'erano lunghi silenzi tra noi. Viola soffriva e io soffrivo perché sapevo che era colpa mia. Quando mamma peggiorò ulteriormente mi sentii come se anche questo fosse colpa mia e ancora una volta nessuno fece niente per dissuadermi da questa convinzione. Fu così che arrivai a lasciare Viola. Svuotata di ogni forza di lottare ancora per noi due le dissi le cose peggiori che potevo. La verità faceva troppo male e così mentii.

Soffoco il pianto nel cuscino fino a quando non riesco a calmarmi. Metto la sveglia e chiudo gli occhi. Un attimo dopo mi rendo conto che sto già sognando. Sono appena uscita da un portone che non conosco con la bicicletta di Dado e litigo con una ragazza. La mando a quel paese ed entro in strada mentre una macchina sopraggiunge e mi investe. Finisco a terra e dalla macchina scende un uomo sorridente. Mi colpisce la quantità di denti in quel sorriso. Denti gialli. Dov'è che l'ho già visto?

Mi sveglio di soprassalto, ma la memoria del sogno si sta già dissolvendo come il fumo di una candela. Mi giro dall'altra parte e torno a dormire: sono così stanca.

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