4-2 rafting

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Quattro ore possono sembrare un'eternità, ma possono anche volare in un soffio. La strada per arrivare non sembra finire più, ma quando il fuoristrada si ferma non c'è così tanta voglia di scendere. Ci sono altri saluti, altre presentazioni e le battutine nervose mentre si indossa l'equipaggiamento, la tensione palpabile durante il briefing prima di iniziare. E poi la discesa in acqua, la posizione che ti sembra sbagliata, la pagaia che non sai come manovrare. E senti il rombo del torrente. I primi schizzi, i primi scossoni, le rocce minacciose davanti e poi, tutt'attorno, la schiuma bianca ovunque, la forza spaventosa dell'acqua che ti inghiotte. O così sembra. Un attimo dopo sei di nuovo fuori con un urlo; davanti altre rocce, intorno altra schiuma, altri schizzi. Qualcuno ride, qualcuno impreca e ti rendi conto che intorno a te c'è una natura spettacolare. Afferri la pagaia con inaspettato vigore, te ne freghi della posizione non proprio esatta e affronti la rapida successiva. Quando urli di nuovo non è tutta paura, c'è anche l'adrenalina che ti fa sentire vivo.

Genni la sente ancora quell'adrenalina in circolo e la fa sentire bene. Ha avuto un po' di paura, soprattutto all'inizio, ma nel complesso si è divertita. Dopo una lunga doccia bollente, tolto l'odore del torrente dai capelli, si sente ancora meglio. Esce dal bagno e scende al piano di sotto della grande casa colonica che appartiene ai nonni di Diana. Le altre sono già tutte in cucina che chiacchierano e ridono mentre escono e rientrano per apparecchiare nella corte. I ragazzi sono attorno al focolare a bere birra e tenere d'occhio la carne sulla brace. Simo la vede scendere, le sorride e Genni si sente rimescolare. Poco prima l'ha visto uscire dal bagno con i capelli bagnati e solo un asciugamano avvolto attorno alla vita e quel ricordo basta a farle venire un gran caldo. La sua mente è attraversata da pensieri degni della trama di un film vietato ai minori.

Si unisce alle altre per i preparativi della cena, rispondendo a tono alle provocazioni dei ragazzi che ancora la sfottono per la "strizza da rafting" mentre continua a scambiare occhiate e sorrisi con Simo, anche se sta sempre attenta a non farlo davanti a Teresa. È chiaro che sono venuti insieme come una coppia, ma non vuole comunque sbatterglielo in faccia.

Io osservo distratto le interazioni di Genni. Mi fa piacere che si diverta, ma non mi esalta fare gli occhi dolci a Simone. Sono più interessato alla grande casa in cui ci troviamo. Ha gli stessi colori e gli stessi odori della casa dei miei nonni, e se smetto di guardare il mondo attraverso gli occhi della ragazza posso tornare a quei ricordi di infanzia fino a vederla materializzarsi davanti ai miei occhi.

La casa è intonacata, non di pietra come quella in cui ci troviamo, ma il camino odoroso di cenere e i soffitti di legno sono praticamente uguali. La stanza è grande e accanto al focolare c'è la cucina economica, le pentole sono di smalto, non in acciaio inox e dalla finestra si vede il pollaio sul retro. La posso vedere chiaramente con gli occhi della memoria. Genni mi porta fuori e siede al tavolo imbandito, di fianco a Diana, su una vecchia sedia che traballa sul selciato di pietra. Guardo la tovaglia a quadri bianchi e rossi e i fiaschi impagliati mentre ricordo che l'aia dei miei nonni era in parte a prato e in parte in pietrisco e c'era un pergolato coperto dalla vite. Posso vederlo. Oltre il pergolato c'è la scala che scende ripida verso il porcile e sul lato opposto il terreno digrada dolcemente fino a un grande noce. Il nonno aveva legato ai suoi rami un'altalena di corda. La vedo ancora lì, stagliarsi nella penombra del crepuscolo mentre i suoni del presente mi portano le voci allegre di Diana e Genni che prendono in giro Simone. Mi allontano da loro, scalzo sul prato e di nuovo bambino, verso l'altalena.

L'erba è fredda e morbida sotto i piedi, le voci del presente sono lontane adesso e riesco a sentire il frinire dei grilli nascosti nei cespugli di salvia. La luce del giorno sta calando veloce e le ombre sotto il noce si sono fatte fitte, tanto che riesco a vedere le prime timide lucciole. L'altalena è lì nel buio, ondeggia lieve, quasi sinistra, stagliata contro lo sfondo della valle. Andavo pazzo per quell'altalena. Per convincermi a rincasare la nonna era sempre costretta a minacciarmi di farmi saltare la cena. Io ubbidivo di malavoglia perché sapevo che non l'avrebbe mai fatto. Ricordo che per farmi rigare dritto e non far impazzire quella povera donna – ero un bel discolo all'epoca –, il nonno mi raccontava che la sera, col buio, arrivava il lupo e che era bene che fossi in casa prima che il sole calasse. Il nonno aveva ragione. Ora lo vedo il lupo. Esce dalle ombre, lento. Non ringhia, non mostra le zanne; sorride mostrandomi una lunga fila di incisivi gialli. Gli occhi azzurri mi fissano, sgranati.

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