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Dieci minuti più tardi sono seduta in una poltrona di chintz con un bicchiere di acqua e zucchero in mano. L'anziana, che si chiama Belinda Carlini, mi ha ospitato in casa sua, al primo piano del palazzo, e mi ha fatto sedere nel suo salottino ordinato, tra centrini all'uncinetto e porcellane in vetrinette.

Adesso mi siede di fronte, in una poltrona di chintz gemella di quella dove sono seduta. A separarci, un tavolinetto basso su cui campeggiano, in un vassoio, una teiera, due tazze e due piattini di biscotti fatti in casa.

«Non doveva prendersi tanto disturbo» dico imbarazzata quando mi avvicina il piattino dei biscotti.

«Nessun disturbo, cara» mi sorride affabile mentre versa il te per sé. «Vivo sola da ventiquattro anni, da quando il mio povero Balduccio morì in quel brutto incidente di caccia; pover'anima. Un po' di compagnia è la benvenuta.»

Io mi caccio un biscotto in bocca e annuisco. Non so che dire. Non mi sento più mancare, ma la conferma dell'esistenza di Corinna domina ancora ogni mio pensiero.

Corinna è reale, lui è reale. E quello che ho visto nella pineta? Reale anche quello? Chi è, anzi cos'è quell'essere che ho visto? E cos'è quel posto in cui ha portato lui?  Anche tutto quello era reale?

«Cara?» la voce della signora Carlini mi richiama al presente.

«Come?» domando confusa. Mi ha detto qualcosa, ma non ho sentito una sola parola.

«Ti chiedevo se volevi fare qualche domanda per il tuo articolo. Io ero qui quando il fatto avvenne e seguii da vicino anche tutto quello che successe dopo.»

«Sì, giusto. Mi scusi, ma mi sento ancora un po' debole...» dico esitante. Sono una pessima attrice, ma Belinda Carlini non vede l'ora di raccontarmi quello che sa e la mia giustificazione le va bene.

«Figurati, non ti preoccupare. Del tè?»

«No, grazie.» L'idea di un tè bollente col caldo che c'è fuori non mi alletta.

«Allora, che vuoi sapere?»

«Che ne dice di raccontarmi tutto dall'inizio?»

Belinda Carlini annuisce soddisfatta. «Tutto è iniziato il pomeriggio del 16 maggio del 2004. Lo ricordo come fosse ieri. Ero a casa e stavo disossando il coniglio, alla televisione passava il programma delle quattro e quindi posso dire con certezza che ore fossero.» È chiaro che non è la prima volta che lo racconta e neanche la seconda. «All'improvviso si sente qualcuno urlare, una voce di donna: Corinna Mugnaini che strilla e una voce di un uomo che le urla contro. Io all'inizio penso a una lite, litigavano spesso negli ultimi tempi, così non ci do importanza, non subito almeno, e continuo col coniglio. Passano i minuti e la lite, o quella che io pensavo una lite, finisce così com'era iniziata. Poveretti, penso io, dev'essere dura andare avanti così, e per qualche ora non ci penso più.

«Più tardi, quella sera stessa, incontro il signor Landi per le scale. Ha una faccia tirata da far paura e neanche mi risponde quando gli do la buonasera. Ricordo che quella cosa mi ha stupito perché è sempre stato un uomo educato il signor Landi.» Fa una pausa e cambia tono, come se mi confidasse un segreto. «Sul momento non ci feci caso, ma portava con sé la borsa di lavoro e aveva l'aria colpevole.» La signora Carlini si sistema meglio nella poltrona e mescola lo zucchero nel suo tè fumante. Mi guarda soddisfatta, come se mi avesse appena offerto una rivelazione scioccante.

«Cavoli» dico con tutta l'enfasi di cui sono capace.

«Sissignore» annuisce la signora Carlini. «Quando più tardi arrivò la polizia io lo dissi subito all'Ispettore Sanfilippo che il signor Landi era una brava persona, ma gli dissi anche della borsa e di quanto mi era parso strano. Dove andava con la borsa da lavoro a quell'ora della sera? Doveva per forza averci nascosto qualcosa.»

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